Per il sottosegretario Sgarbi sono tutte “coincidenze”. Per la signora Margherita Buzio, l’anziana derubata, è letteralmente uno choc: “Non avrei mai immaginato”. Nel frattempo, sullo scoop del Fatto Quotidiano del dipinto trafugato dal suo castello di Buriasco nel 2013, ma riapparso come “inedito” di Sgarbi nel 2021, si muove l’autorità giudiziaria. Seguendo le rivelazioni dell’inchiesta condotta insieme a Report, i carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Roma sono andati proprio a casa dell’anziana vedova, 85 anni compiuti. Che sia scattata l’indagine lo conferma Carlo Marvella, il sindaco della cittadina in provincia di Pinerolo dove l’anziana vive e all’epoca sporse la sua denuncia. Oltre a quella, la signora conserva anche un lembo del dipinto originale del 600. Lo hanno rinvenuto sul “luogo del delitto” proprio i due cronisti pochi giorni fa quando, con comprensibile reticenza e fatica, ha aperto loro le porte della sua rocca: è un frammento di tela grande 7 cm per 5, ed era ancora attaccato al telaio originale lasciato sul posto dai ladri, quando tagliarono grossolanamente la preziosa tela e la sostituirono con una foto riproduzione su plastica per ingannare la proprietaria. Il reperto potrà servire per confrontarlo con il dipinto custodito oggi nella collezione di Sgarbi, e verificare con prove scientifiche se sia lo stesso trafugato otto anni prima oppure no. Intanto, la versione del sottosegretario Sgarbi sembra farsi ogni ora più debole. Il Fatto e Report lo hanno raggiunto due giorni fa a Urbino, dove ha inaugurato una mostra dedicata all’incisore e pittore Luigi Bartolini.
Incalzato dai cronisti, a Palazzo Ducale Sgarbi si siede e sfoglia nervosamente le foto e i documenti dell’inchiesta che porterebbero dritto al “suo” quadro. Scorre velocemente la denuncia della signora Buzio. Cerca appigli che dimostrino su due piedi che sono tele diverse. E effettivamente a tratti lo sono, a partire dalle misure. La denuncia riporta 220 cm per 247, quella esposta a Lucca da Sgarbi 233 per 204. “Ecco vede? La mia è più piccola!”, esulta. Ma è il suo restauratore a spiegare l’arcano: “Per forza, la tela che mi avevano consegnato per conto di Vittorio era stata tagliata dall’interno della cornice, e si è ridotta di 15 cm, oltre che rovinata”. Si concentra allora sul dettaglio della candela, che nelle foto della denuncia e della segnalazione all’Interpol del 2013 non c’è, mentre appare sullo sfondo di quella restaurata che ha messo in mostra nel 2021 presentandola come inedito del Manetti di sua proprietà: “Ecco vedete, sono due versioni diverse, qui c’è la candela e qui no. La mia non è rubata!”.
Scorrendo la denuncia Sgarbi nota che la proprietaria indica il dipinto non già come opera del senese Rutilio Manetti bensì come “realizzata da un autore ignoto ricordante i pittori Solimena e Cavallino”.
Sono artisti coevi ma del barocco napoletano. Lo stesso si legge nella segnalazione all’Interpol. “Ecco – rimbrotta il critico, come davanti alla più elementare chiave del più semplice dei misteri – lo vedete che non è lo stesso? Questo è un Manetti, quest’altro un altro pittore o una copia, ma che volete da me?”. Ma dalle foto i quadri sembrano proprio identici, salvo la candela in alto a sinistra e la dimensione.
La verità, ancora una volta, sembra un’altra. Al Fatto e alle telecamere di Report la povera signora Buzio, per sua stessa ammissione, dice che non aveva alcuna idea di cosa fosse davvero quel quadro, della sua grande rilevanza storica, artistica ed economica. Ai cronisti aveva però raccontato che Sgarbi era stato diverse volte al castello. Che in un’occasione aveva anche presentato un suo libro e valutato le sue opere. Lo ricorda bene anche l’ex direttore di sala del ristorante, Bruno Chiesa. Lo avevamo incontrato nella casa di riposo “La consolata” di Buriasco, all’epoca serviva ai tavoli, anche a quello del critico. Dal racconto della Buzio si capisce che nonostante le tante visite, l’esperto d’arte Sgarbi, che per ammissione dei suoi ex collaboratori aveva in animo di acquistare il dipinto per quel che era, si era ben guardato dal rivelarlo alla proprietaria. “Valutò diversi quadri ma non quello”, ricorda la signora. L’indomani delle rivelazioni del giornale, risponde al telefono con voce tremula e una sola cosa dice: “No, non avrei mai immaginato”.
Il primo a smentire la versione del critico era stato il restauratore di Brescia Gianfranco Mingardi cui, pochi mesi dopo il furto, lui stesso fece consegnare una tela identica del Manetti tagliata e avvolta come un tappeto: “Non scherziamo è la stessa, si vede pure dalle imperfezioni. La candela non c’era e nulla mi toglie dalla testa che sia stata aggiunta successivamente proprio perché sembrasse diversa da quella rubata. Ma io la storia del furto in qualche modo la sapevo dagli autisti di Sgarbi, per questo gli chiesi un’attestazione di proprietà che non mi mandò mai. Non avendo alcuna prova, non potevo denunciare”. L’impressione è che stia cadendo un castello.
Paolo Bocedi, fidatissimo amico di Sgarbi, inizia ora a ricordare. Raggiunto nel suo storico negozio di tappezzeria di Saronno giovedì, sembrava cadere letteralmente dalle nuvole: non ricordava né il quadro né il castello. La memoria gli torna solo quando realizza che il suo nome, per tutti quello di un paladino dell’antiracket con incarichi in Regione Lombardia, è scritto nero su bianco nella denuncia della signora di Buriasco. “Che figura di merda faccio con Nando dalla Chiesa e tutti gli altri?”, dice vinto da comprensibile imbarazzo.
Ai cronisti spiega che è minacciato ancora dalla mafia, che è sotto protezione, mostra la pistola nel cassetto, manda sul cellulare i vecchi video con Maurizio Costanzo a testimonianza delle storiche battaglie che ha condotto contro la piaga dell’usura che tutti gli riconoscono. All’amnesia momentanea segue poi l’ammissione: “Ricordo di esserci andato (non ricordo il mese..) con l’amico e autista di Sgarbi, Pasquale La Mura, mi aveva accompagnato lui per vedere un quadro e chiedere quando lo vendeva per poi riferirlo a Sgarbi. Io non sapevo né conoscevo la proprietaria”. La proprietaria rifiuta, dice che lo venderà con tutto il castello o niente. Poche settimane dopo, il quadro sparisce.
L’ex autista rintracciato dal Fatto conferma il racconto. “Su sua richiesta nel 2012 accompagnai al Castello sia lui che il Bocedi almeno due volte. Mi dicevano dove andare, io andavo. Era ormai abbandonato, anche il ristorante era chiuso da tempo. Ricordo l’anziana signora, magra e con gli occhiali e questo grande quadro molto bello e bello grande. Per Vittorio era un’opera di grande valore, era interessatissimo, ma la signora non lo voleva proprio vendere. Mi rimandò lì in avanscoperta con un’altra persona di sua fiducia, non ricordo chi fosse, fingendo di voler comprare il castello. Era tutta una sceneggiata per rivedere il quadro e fare delle foto. Seppi poi che a un certo punto il quadro sparì e che fu sostituito da una grande foto in plastica, e che ci fu una denuncia. Mi balenò il sospetto che fosse finito dritto nella collezione Sgarbi, perché è un collezionista compulsivo, quando si trova davanti un’opera di grande valore salta fuori questo suo lato. Ma chi materialmente lo prelevò dal castello questo proprio non lo so, certamente non io. Ho smesso di lavorare per Sgarbi a fine 2012”.
Per Sgarbi sono soltanto delle formidabili “coincidenze”. Sempre molto fortunate, le sue: continua infatti a sostenere che nel 2000 compra la villa Maidalchina, una nobile dimora di campagna diroccata e abbandonata da decenni fuori Viterbo, e ohibò, d’averci trovato dentro un inedito di Manetti. “In un interstizio” dice, o forse in una soffitta che fece restaurare. Del resto, questa è la provenienza indicata ufficialmente nella scheda della mostra di Lucca. Difficile, per quanto improbabile risulti oggi, fare marcia indietro indicandone una diversa. Mentre si affanna a dire cosa non ha fatto, non chiarisce quel che forse avrebbe dovuto fare: avendo trovato in soffitta un dipinto di rilevante interesse storico, artistico ed economico, ha cercato e avvisato i legittimi proprietari per restituirla? Ha forse segnalato il fortunoso ritrovamento alle autorità preposte, ovvero alla soprintendenza sul territorio, anche al fine di verificare se fosse oggetto di un crimine?
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