La Commissione europea ha elaborato una proposta di legge denominata “Nature Restoration Law”, che ha lo scopo di ripristinare entro il 2030 almeno il 20% delle superfici terrestri e acquatiche dell’Unione, con estensione entro il 2050 a tutti gli ecosistemi bisognosi di recupero non solo relativamente alle aree protette ma comprendendo anche i terreni agricoli e le aree urbane.
L’iter burocratico prevede diversi passaggi. Mentre a maggio due diverse Commissioni -Agricoltura e Pesca- avevano respinto a maggioranza la proposta, il 15 giugno la Commissione Ambiente europea (ENVI) ha vissuto un braccio di ferro per l’opposizione di diversi Paesi (tra i quali l’Italia) che hanno contrastato l’adozione della legge vedendo nei vincoli ambientali un pericolo per la sicurezza alimentare ed energetica: perdite economiche per agricoltori, pescatori e selvicoltori, con riduzione delle catene di approvvigionamento europee e conseguenti aumenti dei prezzi per i prodotti alimentari, oltre ad ostacoli all’avanzata delle rinnovabili. Alla fine il testo è stato approvato con alcune modifiche e presentato al Parlamento europeo il 12 luglio contando 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astenuti, licenziando così la posizione ufficiale in vista dei negoziati finali per l’approvazione della legge, il cosiddetto “trilogo” che coinvolge la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa. Il 29 novembre un nuovo step, con il secondo passaggio presso l’ENVI -ancora il voto contrario dell’Italia. Ora si attende solo il voto del Parlamento europeo in seduta plenaria, previsto per fine febbraio 2024, e a seguire la riunione formale del Consiglio d’Europa per la ratifica finale.
La Nature Restoration Law non è una Direttiva ma un Regolamento: una Direttiva (ad esempio la Direttiva Habitat, o la Direttiva Uccelli) stabilisce un obiettivo lasciando definire ai singoli paesi le disposizioni nazionali per conseguirlo, mentre un Regolamento (ad esempio i Regolamenti sulle coordinate bancarie o sul roaming telefonico) è un atto giuridico vincolante che deve essere applicato in tutti i suoi elementi nell’intera Unione europea. Entro due anni dal completamento dell’iter legislativo gli Stati avranno l’obbligo di adottare dei Piani nazionali di Ripristino, da sottoporre al controllo della Commissione, inviando rapporti annuali sui progressi e l’attuazione delle misure previste; in caso di mancato rispetto degli obiettivi prefissati, gli Stati potrebbero essere esposti ad azione legale. Al di fuori degli obiettivi giuridicamente vincolanti, agli Stati membri viene lasciato un ampio margine di manovra per decidere le migliori misure per il raggiungimento dei target, da esplicitare nei singoli Piani Nazionali; ogni area geografica presenta infatti caratteristiche molto diverse e sarebbe impossibile, da parte di Bruxelles, fornire indicazioni valide per tutte le nazioni.
Viene stabilito un obiettivo generale: contribuire alla ripresa continua, a lungo termine e duratura della biodiversità e della resilienza della natura in tutte le zone terrestri e marine dell’UE mediante il ripristino degli ecosistemi, partecipare al conseguimento degli obiettivi dell’Unione in materia di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici e concorrere al rispetto dei suoi impegni internazionali. La Commissione fa notare che il “ripristino della natura non equivale alla protezione della stessa e non porta automaticamente a un aumento delle aree protette”. Il principio di base è che proteggere la natura è certamente fondamentale ma occorre fare di più, ripristinando quella perduta in termini di biodiversità, recuperando impatti positivi sulla salute e sul benessere dei cittadini e contribuendo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto.
Secondo l’ultima valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) sullo “Stato della natura nell’UE 2020”, l’81% degli habitat protetti, il 39% delle specie di uccelli protetti e il 63% delle altre specie si trovano in un cattivo stato di conservazione; tra le cause l’agricoltura intensiva e l’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti, il consumo di suolo, l’inquinamento, la selvicoltura non sostenibile. Ecosistemi sani forniscono alimenti e sicurezza alimentare: fino al 70% dei suoli dell’unione è contaminato e ciò comporta una perdita di 50 miliardi di euro per anno in produzione agricola, una specie su tre di api e farfalle è in calo demografico e una su dieci a rischio estinzione, occorre riuscire ad invertire il calo delle popolazioni di insetti impollinatori per tornare a farle crescere. Acque più pulite, pozzi di assorbimento naturale del carbonio come torbiere e zone umide, fiumi a libero scorrimento per prevenire le catastrofi naturali, incremento del verde urbano sono obiettivi che concorrono a raggiungere i propositi climatici europei, sia attraverso la mitigazione che attraverso l’adattamento agli eventi estremi sempre più frequenti. Merita più attenzione l’ambiente marino, spesso dimenticato ma assolutamente indispensabile agli equilibri naturali planetari e sempre più in sofferenza.
A livello economico le stime dicono che ogni euro speso in ripristino del territorio porterà un ritorno da 8 a 38 €: si tratterebbe quindi di un investimento vantaggioso, i cui benefici superano di gran lunga i costi. L’entrata in vigore della Nature Restoration Law potrà avere effetti positivi non solo per la natura e l’ambiente, ma anche per la stessa economia al netto delle lobby direttamente coinvolte: territori più sicuri, città più verdi e accoglienti, servizi ecosistemici di maggiore qualità -dall’approvvigionamento al clima, dalla prevenzione delle catastrofi naturali ai valori estetici e culturali- sono le basi per una vita migliore. Per una volta, economia ed ecologia non andrebbero in contrasto ma si affiancherebbero in un connubio virtuoso di reciproca soddisfazione.