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“Continuando così non si fa altro che galoppare verso la dittatura. Se fossi il presidente della Repubblica non firmerei questa legge”. L’ex vicepresidente della Corte costituzionale, Paolo Maddalena, non ha dubbi: il divieto di pubblicare il testo delle ordinanze delle misure cautelari (quelle con cui i giudici delle indagini preliminari dispongono carcere, domiciliari o altre misure cautelari nei confronti degli indagati) fino all’udienza preliminare è “una norma deviante e incostituzionale, figlia di una deriva pericolosissima”.
Presidente, l’autore dell’emendamento approvato a larga maggioranza, Enrico Costa di Azione, parla di “misura sacrosanta”, che intende rafforzare il principio della presunzione di innocenza contro la “dittatura della gogna”
Mi consenta una premessa. Questa è l’ultima misura in ordine di tempo in cui si registra un allentamento delle regole poste a presidio dello sviluppo democratico di questo Paese. E quando vengono allentate le regole con una forzatura che arriva a comprimere, come in questo caso, i diritti e le libertà costituzionali, di solito si finisce per fare un favore ai delinquenti. Questo con buona pace di belletti e delle salmerie usati per giustificare scelte di questa gravità.
Quindi a suo avviso si tratta di una legge bavaglio?
Ripartiamo dalle basi, dall’Abc. Le ordinanze cautelari sono un atto pubblico e il divieto di pubblicarle chiama in causa una serie di principi costituzionali inviolabili che vengono tarpati con uno scopo chiarissimo anche se non dichiarato. Qui stanno vietando la pubblicazione di un atto pubblico assunto da un giudice che agisce in base a precise condizioni di legge e per questi signori i contenuti di questo atto non devono essere conosciuti in ossequio non si sa bene di cosa. O meglio lo si intuisce benissimo.
In ossequio alla presunzione di innocenza? C’è chi fa riferimento alla privacy…
Qui la presunzione di innocenza non c’entra un fico secco. Qui siamo di fronte a una inaccettabile limitazione del diritto dei cittadini a essere informati. Su atti come quelli che implicano la limitazione della libertà personale che devono essere sempre motivati dall’autorità giudiziaria. Impedire di conoscere quali siano state queste motivazioni determina un grave vulnus di controllo democratico. Significa occultare la verità. A che scopo e per chi? Non per il popolo, ma contro di esso. È una disposizione infame e pericolosissima.
Perché pericolosissima?
Il diritto dei cittadini a essere informati è il fondamento della democrazia. E non mi pare cosa di poco conto limitarlo.
I giornalisti parlano di legge bavaglio…
Mi pare il minimo, anche se qui a protestare non dovrebbe essere solo la categoria dei giornalisti. Questa norma incide sulla funzione dell’informazione facendo strame dell’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di stampa, ma anche sull’articolo 4 che al comma 2 dice che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Ecco: se un giornalista non può informare che giornalista è? Con queste limitazioni in cosa un giornalista può onorare la sua funzione concorrendo al progresso della società?
Per protesta i vertici della Federazione della stampa non parteciperanno alla conferenza di fine anno della presidente del Consiglio Meloni e hanno fatto sin d’ora appello al presidente della Repubblica affinché non firmi la legge che ora attende l’ok definitivo del Senato.
Se fossi nei panni del capo dello Stato come minimo rimanderei indietro la legge alle Camere con messaggio motivato. Ma temo, visto il clima determinato dal progetto di riforma costituzionale in animo al governo, che ciò non avverrà. Il Quirinale si trova nella morsa di una tenaglia. Anzi in una gabbia.
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