Quello che abbiamo appena salutato è stato un anno tutt’altro che facile. Per diverse aree del mondo sconvolte da vecchie e nuove guerre, come il conflitto che continua a infuriare in Ucraina e quello mai sopito, riesploso in tutta la sua drammaticità, in Palestina. E per il pianeta, messo a dura prova a ogni latitudine da eventi climatici estremi sempre più intensi e frequenti, tra alluvioni, siccità e incendi. Nell’anno più caldo mai registrato si è assistito ai tentativi delle lobby del petrolio e del gas di influenzare gli esiti di negoziati cruciali per il nostro futuro, dal Trattato globale sulla plastica all’accordo sul clima della COP28. Nuovi pericoli all’orizzonte, come gli interessi dell’industria mineraria per le estrazioni nei fondali oceanici, hanno minacciato l’integrità di habitat dalla biodiversità unica, fondamentali per mitigare gli effetti della crisi climatica.
Ma il 2023 è stato anche un anno che ci ha visti in prima linea, grazie al vostro sostegno e al fianco di altre organizzazioni e movimenti, per ottenere accordi importanti, come il Trattato globale sugli Oceani e la Nature Restoration Law, e per difendere traguardi normativi già raggiunti da chi ha cercato di indebolirne l’efficacia. Un anno nel quale abbiamo sostenuto e, in alcuni casi anche vinto, diverse battaglie legali per inchiodare alle loro responsabilità colossi industriali inquinanti e governi che non hanno fatto abbastanza per salvaguardare il pianeta e i diritti delle popolazioni che lo abitano. Come nel caso approdato alla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha visto le Anziane per il Clima citare in giudizio il governo svizzero, con il supporto di Greenpeace.
In attesa di un 2024 che ci vedrà, come sempre, in azione per costruire un mondo verde e di pace, ripercorriamo insieme alcuni dei momenti più significativi di questi ultimi 12 mesi.
Un accordo storico, l’Onu adotta il Trattato globale per la protezione degli oceani
Dopo un lungo percorso fatto di buoni propositi, proposte e negoziati andati avanti fin dai primi anni Duemila, lo scorso 4 marzo i leader mondiali riuniti nella sede dell’Onu a New York hanno approvato il Trattato globale sugli oceani. Un accordo storico e una vittoria per la vita nei nostri mari: il trattato rappresenta, infatti, un potente strumento giuridico per raggiungere l’ambizioso “obiettivo 30×30”, concordato nel 2022 nell’ambito della Convenzione sulla Biodiversità, per istituire nuove aree marine protette che tutelino il 30% dei nostri mari entro il 2030. Serve ora ratificare l’accordo che permetterà la creazione, anche in acque internazionali, di una rete di santuari marini liberi da attività umane distruttive. Dando agli oceani del pianeta la possibilità di riprendersi e prosperare.
Oceani in salvo, per il momento, anche grazie alla crescente mobilitazione dell’opinione pubblica cui Greenpeace ha contribuito: lo scorso agosto, infatti, l’autorità internazionale che governa le attività minerarie in mare (Isa) non ha concesso il via libera al deep sea mining, ossia l’estrazione di metalli e terre rare nelle profondità degli oceani, che rischia di intaccare in modo irreversibile un habitat ricco di biodiversità e con un ruolo chiave nel sequestro del carbonio. Le compagnie interessate a trasformare i fondali marini in miniere non potranno dunque iniziare a saccheggiare gli oceani, mentre cresce l’opposizione agli interessi dell’industria, con decine di governi e organizzazioni che chiedono una moratoria sul deep sea mining.
Accesso alle informazioni ambientali, stop ai limiti della pubblica amministrazione
Una decisione che crea un precedente giuridico importante. Lo scorso luglio il Consiglio di Stato italiano ha accolto la richiesta di Greenpeace Italia di avere accesso a tutti gli atti, accordi e contratti tra Eni e il Politecnico di Torino. L’informazione ambientale, si legge nella sentenza, riguarda “non solo i dati e i documenti posti in immediata correlazione con il bene ambiente, ma anche le scelte, le azioni e qualsivoglia attività amministrativa che ad esso faccia riferimento”. La pronuncia è solo l’ultimo tassello di un processo iniziato nel 2021, quando avevamo chiesto l’accesso agli atti a tutte le università pubbliche italiane per capire se e in quale misura Eni influenzasse la ricerca e la didattica.
Non è l’unico contenzioso che quest’anno ha visto Greenpeace Italia contrapporsi al colosso petrolifero: lo scorso maggio, infatti, insieme a ReCommon e a 12 cittadine e cittadini italiani, abbiamo avviato la prima climate litigation mai lanciata in Italia contro un soggetto di diritto privato, portando Eni in tribunale per chiedere che l’azienda sia costretta ad assumersi le proprie responsabilità e riduca le sue emissioni, nel rispetto dell’accordo di Parigi sul clima. La prima udienza è prevista il prossimo febbraio.
Nature Restoration Law, il sì alla legge per ripristinare la natura in Europa
Nel 2023 il ripristino della natura in Europa è diventato ufficialmente legge: lo scorso luglio, infatti, è stata approvata la Nature Restoration Law, il primo atto legislativo di rilievo degli ultimi 30 anni per proteggere la biodiversità nell’Ue. Il Parlamento europeo ha votato a favore di obiettivi giuridicamente vincolanti per ripristinare le aree naturali degradate, resistendo alla forte opposizione dei parlamentari conservatori sostenuti dalle lobby dell’agricoltura industriale. Sebbene la normativa presenti indebolimenti e lacune, un primo importante passo è stato fatto. La Nature Restoration Law diventerà uno dei due pilastri fondamentali della Strategia dell’UE per la Biodiversità 2030 e la prima normativa esplicitamente finalizzata al ripristino della natura in Unione Europea. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, nel 2021 ben l’81% degli ecosistemi europei versava in uno stato di cattiva conservazione.
Arctic 30, Corte UE dei diritti dell’uomo: protesta pacifica per il clima va rispettata
A dieci anni esatti dal caso che tenne il mondo col fiato sospeso per le sorti del gruppo noto come Arctic 30, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata stabilendo che le autorità russe arrestarono arbitrariamente i 28 attivisti di Greenpeace e i due giornalisti freelance coinvolti nella protesta pacifica del settembre 2013, violando il loro diritto alla libertà di espressione. Il gruppo, che manifestava contro la produzione di petrolio nell’Artico al largo della costa settentrionale della Russia, era stato aggredito a bordo della nave di Greenpeace “Arctic Sunrise” da un commando russo e arrestato con l’accusa di pirateria: gli attivisti avevano trascorso due mesi in un centro di detenzione, prima di essere rilasciati su cauzione, ottenere la definitiva liberazione e infine l’autorizzazione a lasciare il Paese.
Secondo i legali degli Arctic 30, con questa sentenza la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inviato un chiaro segnale ai governi in un momento critico per le persone che protestano pacificamente chiedendo azioni concrete contro la crisi climatica. Un invito a riconoscere la necessità dell’attivismo climatico, “espressione di opinione su una questione di significativo interesse sociale”, e a ricordare come il diritto delle persone a protestare in difesa dell’ambiente vada rispettato. Oggi più che mai.