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QUESTIONE MORALE, GIORGIA FISCHIETTA E PUNISCE SOLO IL PISTOLERO DI CAPODANNO. Giorgia Meloni nella conferenza d’inizio anno lo ha detto chiaro: “Non vedo questioni morali, ogni episodio fa storie a sé”. Però i casi sono tanti e riguardano sempre uomini della maggioranza. C’è il deputato pistolero e fratello d’Italia Emanuele Pozzolo. Il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi con una tela da centinaia di migliaia di euro che risulterebbe identica ad una rubata. L’altro sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, rinviato a giudizio per aver spifferato al coinquilino e collega di FdI, Giovanni Donzelli, i rapporti del Dap sui colloqui in carcere dell’anarchico Alfredo Cospito, per accusare il Pd di “stare dalla parte dei terroristi”. Senza dimenticare la ministra del Turismo Daniela Santanché, nel mirino della procura per i bilanci delle aziende Visibilia e la gestione della cassa Covid durante la pandemia. Oppure il cognato e ministro Francesco Lollobrigida, con la fermata ad personam del Frecciarossa per volare con l’auto blu al taglio di nastro del Parco di Caivano. Abbastanza per mettere in dubbio la caratura della classe dirigente meloniana. Ma la premier si limita a sospendere Pozzolo, il pesce piccolo, nell’attesa del giudizio dei probiviri. Per il resto, va tutto bene: il giudizio arriverà dopo il verdetto della magistratura, secondo la leader. Così sarà più facile urlare al complotto dei giudici, se la sentenza è sgradita a palazzo Chigi. Del resto, il ministro Crosetto aveva già lanciato la profezia sul Corriere della sera, paventando iniziative giudiziarie contro il governo prima delle elezioni europee. Ieri, Meloni ha rincarato la dose in conferenza stampa alludendo alle lobby che credono “di poter dare le carte”. “Vedo attacchi, ma non sono una che si spaventa”. A far paura è lo spessore morale della sua classe dirigente. Sul Fatto di domani vi racconteremo un nuovo capitolo sugli scandali di governo.
CASO VERDINI E APPALTI ANAS, MATTEO SALVINI È GIÀ ASSOLTO DALLA PREMIER (MALGRADO LE INTERCETTAZIONI). Lo scandalo che scotta, per palazzo Chigi, sono gli appalti Anas “pilotati” dalla cricca di Verdini padre e figlio. A vigilare sulla società pubblica per la manutenzione stradale c’è il ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini, fidanzato con Francesca Verdini (figlia di Denis). Ma Giorgia Meloni ha già assolto il Capitano della Lega: “Non è chiamato in causa e non deve intervenire in Aula”. Eppure il segretario del Carroccio (non indagato) viene citato spesso da Verdini jr e dal sodale Fabio Pileri, come testimoniano le intercettazioni pubblicate dal Fatto. Breve inciso: se la legge bavaglio fosse già in vigore, con il divieto di pubblicare gli estratti degli ordini di arresto, non una sillaba sarebbe giunta ai lettori. E Meloni non avrebbe potuto farsi neppure una vaga idea sulle responsabilità di Matteo Salvini. Sul Fatto di oggi, ad esempio, abbiamo riportato le conversazioni di Fabio Pileri (socio di Verdini jr. nella Inver) riguardo l’ex ad di Anas Massimo Simonini. Pileri cita un documento Anas riservato, trafugato da Simonini per girarlo a Tommaso Verdini, il quale lo spedisce in un plico a Vito Bonsignore (imprenditore ex democristiano, indagato nell’inchiesta della procura di Roma). Pileri racconta di come Simonini, lasciato l’incarico al vertice di Anas, “non era morto”, anzi “l’avevamo sistemato bene fidate (…) era commissario di due opere”. Due grandi opere: la Statale 106 ionica in Calabria e la E78 Fano-Grosseto. Il nuovo incarico per Simonini giunse grazie alla nomina di Mario Draghi. Ma Matteo Salvini lo ha rafforzato, attribuendo al Commissario 3 miliardi di euro da spendere in 15 anni. In un’altra intercettazione, a parlare è Omar Mandosi, ex funzionario Anas passato a dirigere le risorse umane della società Ponte sullo Stretto: “Francesca e Matteo a disposizione”. Anche Denis Verdini si lascia andare al telefono, sognando il “colpo grosso” e tessendo una rete di rapporti con il sindacato Cisal. Sul Fatto di domani, nuovi retroscena sullo scandalo degli appalti Anas.
RUSSIA-UCRAINA, IL FRONTE DI CHI DISERTA LA GUERRA. Il conflitto in Ucraina è entrato in una nuova fase. Cause, l’inverno e l’ormai assodato fallimento della controffensiva di Kiev. Un nuovo stadio che è fatto soprattutto di bombardamenti. Da dicembre la Russia ha ripreso a colpire con droni e missili la capitale ucraina e altre città dell’interno, con l’obiettivo non più di guadagnare territorio ma di distruggere infrastrutture e logorare il morale dei difensori. Gli analisti che hanno studiato gli ultimi raid ritengono che, a differenza dell’anno scorso nello stesso periodo, Mosca questa volta non stia prendendo di mira le centrali elettriche, per provocare black out, ma piuttosto i depositi di armi. Kiev invece punta sempre di più a colpire in territorio russo e in Crimea. Il presidente Volodymyr Zelensky, nel suo discorso di fine anno, ha promesso che nel 2024 “il nemico subirà le devastazioni della nostra produzione interna”, aggiungendo che l’Ucraina avrà a disposizione un milione di droni. Oltre ai dispositivi senza pilota, dovrebbero arrivare anche i primi F-16 occidentali, spediti da alcuni Paesi Ue. Le forze ucraine bersagliano regolarmente la città russa di Belgorod, al confine. Oggi il sindaco del capoluogo russo ha suggerito agli oltre 300.000 abitanti di evacuare. In Crimea, ieri è stato colpito il comando delle forze russe vicino a Sebastopoli. Il settimanale americano Newsweek e l’agenzia ucraina Unian hanno rilanciato una voce che circola sui social secondo cui nell’attacco sarebbe stato ucciso il capo di Stato maggiore e vice ministro della Difesa russo Valery Gerasimov (non è la prima volta che viene dato per morto). Notizie non confermate dall’esercito o dal governo, che non commenta neanche l’indiscrezione di fonte americana sull’impiego di missili targati Corea del nord negli ultimi bombardamenti russi. Sia Mosca che Kiev hanno avviato nuove campagne di reclutamento massiccio di fanteria. Sul Fatto di domani racconteremo le storie e le difficoltà di pacifisti e disertori che si oppongono alla coscrizione militare, da un lato e dall’altro.
ISRAELE-HAMAS, QUANTO È COSTATA L’OPERAZIONE MILITARE FINORA. LA DESTRA ISRAELIANA SI SPACCA SU 7 OTTOBRE E PIANI PER IL POST-GUERRA. “Il luogo e il tempo” della vendetta iraniana per il doppio attentato di Kerman saranno “scelti” dalla Repubblica islamica, ha affermato il presidente Ebrahim Raisi partecipando ai funerali delle vittime nella città nel sud-est dell’Iran. Ieri l’Isis ha rivendicato gli attentati, che, secondo l’ultimo bilancio, hanno provocato 89 morti (tra cui 54 donne e 10 bambini) e 284 feriti. Il ministero degli Interni di Teheran ha comunicato che “alcune persone coinvolte” nell’attacco sono state arrestate. Le stesse autorità iraniane ieri puntavano il dito sui fondamentalisti sunniti di Daesh, più che su Israele. Sotto pressione è anche la milizia sciita libanese Hezbollah, che ha subito l’omicidio del numero 2 di Hamas Saleh al-Arouri a Beirut, nella zona della capitale libanese che controlla. Il leader Nasrallah ha parlato di nuovo oggi e ha confermato che la milizia continuerà a lanciare razzi su Israele dal confine. In quasi tre mesi di combattimenti (senza conflitto aperto) sono oltre 76 mila gli sfollati libanesi nel sud del Paese, secondo i dati dell’Oim. Intanto in Israele si allargano le fratture tra l’estrema destra che sostiene Netanyahu e le aree centriste e moderate. Ieri sera alla riunione del gabinetto di guerra si è aperto un duro scontro a proposito dell’apertura di una commissione d’inchiesta sulle mancanze di sicurezza durante il raid di Hamas del 7 ottobre (che ha provocato 1200 vittime e 270 ostaggi circa): l’estrema destra non vuole processare i militari. Lo scontro si è riproposto sulla questione di cosa fare di Gaza dopo la fine dell’operazione militare. Il ministro della difesa Yoav Gallant ha presentato un piano per la gestione della Striscia da parte dell’Anp, con l’aiuto dell’Egitto e una supervisione di Israele. Piano oggi rispedito al mittente dal ministro (estremista) per la tradizione Amichai Eliahu, che parla di “incoraggiare” i palestinesi ad abbandonare la Striscia, e dal ministro delle Finanze (estremista) Bezalel Smotrich, che ha detto che la deportazione dei palestinesi da Gaza è l’unico modo per evitare un altro 7 ottobre. Sul terreno le operazioni si concentrano ancora a Khan Yunis, e nel vicino campo profughi di el-Bureij. Il bilancio delle vittime palestinesi è salito a 22.600, secondo il ministero della sanità di Hamas. Sul Fatto di domani vedremo quanto sta costando la guerra in termini economici, e non solo di vite umane.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Giuliano Amato lascia la presidenza della commissione algoritmi. L’ex presidente della Corte Costituzionale lo ha annunciato con un’intervista al Corriere della sera, all’indomani della conferenza stampa della premier Giorgia Meloni, che già a ottobre aveva fatto trapelare la sua irritazione. Ieri la premier ha sfruttato l’assisti di una domanda di Libero per attaccare Amato: “Sul tema della commissione algoritmi, credo si sappia che non è stata una mia iniziativa e ho detto tendenzialmente quello che pensavo ma al di là di questo, non ho nulla da dire nello specifico al professor Amato, sono rimasta francamente basita dalle sue dichiarazioni che riguardano la Corte Costituzionale”.
La Coca-Cola scarica Chiara Ferragni. Nuova doccia fredda per l’influencer e imprenditrice multata dall’Antitrust per comunicazione scorretta sulle vendite del pandoro con il suo marchio. La multinazionale dei soft-drink avrebbe sospeso la pubblicità che doveva andare in onda con Sanremo.
Britney Spears e Taylor Swift allo specchio. Non ci sarà one more time per la pop-star: ormai 42enne, con alle spalle un conflitto aperto con la famiglia che riguarda la sua salute mentale, Spears ha detto in un’intervista che con la musica ha chiuso. Tutto l’opposto di Taylor Swift, incoronata donna dell’anno per Time e nuova icona del pop Usa, con un successo planetario.
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Il reclutamento forzato dei migranti asiatici: carne da cannone per la Russia
di Michela A. G. Iaccarino
L’ultimo raid è stato quello di Capodanno nei pressi della metro Gostinyj dvor, a San Pietroburgo, dove la polizia ha fermato almeno 3mila migranti asiatici. Secondo il giornale Fontanka, almeno 600 sono stati arrestati per aver violato la legge: alcuni verranno deportati, altri, molto probabilmente, finiranno in trincea in Ucraina. È stato solo l’ultimo arresto massivo di gastarbeiter, “lavoratore ospite”, come chiamano nella Federazione i cittadini delle ex repubbliche sovietiche che vengono impiegati, spesso illegalmente, in condizioni economiche e sociali precarissime, nella Federazione.
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