Fra una balla e l’altra, ieri Giorgia Meloni è stata colta da alcuni lampi di sincerità. Quando ha interrotto la conferenza stampa per fare pipì (anche l’Uomo dell’Anno, come direbbe Fichi Sechi, deve fare i conti con la prostata). O quando ha liquidato con due battute la legge bavaglio che avrebbe impedito agli italiani (lei compresa) di leggere l’ordinanza sulla cricca degli appalti Anas: dinanzi a giornalisti con bavaglio incorporato che, per i nove decimi, le servivano assist anziché domande e chiudevano l’incontro con un bell’applauso (come nella Corea di Kim Jong-un e nell’Italia di Draghi), l’idea che piangano per un divieto che già osservano prima che venga imposto fa scompisciare anche lei. O quando ha schiacciato le palle che gentilmente le alza ogni giorno la sinistra più stupida del mondo: il giudice della Corte dei Conti che insulta il governo; il Pd che chiede la testa di Delmastro una delle rare volte in cui non c’entra; Rep che lancia continui allarmi democratici perché la destra, vinte le elezioni, occupa la Rai e nomina giudici alla Consulta come ha sempre fatto il Pd senza mai vincere un’elezione.
Ma il momento di massima trasparenza è stato quando ha negato il familismo in FdI e la questione morale nei casi Verdini, Santanchè, Sgarbi, Crosetto&C.: “Sul familismo comincio a stufarmi” (sapesse noi); “Non c’è una questione morale, ma solo casi singoli. E non abbiamo allentato i poteri di controllo” (infatti hanno tagliato le mani alla Corte dei Conti e stanno abolendo l’abuso d’ufficio). Poi è partita per la tangente, attribuendo al Fatto e alla sua vera ossessione, Giuseppe Conte, cose mai dette: “Dovrei far dimettere persone raggiunte da avvisi di garanzia? I 5Stelle non han fatto dimettere Raggi, Conte, Grillo e Appendino, a cui io ho espresso solidarietà”. A parte il fatto che la Meloni ha passato gli ultimi 15 anni a chiedere dimissioni di indagati e non (spesso a ragione), qui nessuno collega gli avvisi di garanzia con le dimissioni. Qui si parla di questione morale, diversa e molto più ampia di quella penale: riguarda condotte e conflitti d’interessi incompatibili con la dignità e l’onore richiesti dall’articolo 54 della Costituzione, accertati ora da pm, ora da cronisti. Quando ne emerse uno sul sottosegretario Siri, Conte lo fece dimettere. E lo stesso dovrebbe fare lei, liberandosi di Sgarbi e Santanchè e cambiando delega a Salvini perché ha il cognato e il suocero lobbisti (e forse pure tangentisti) su appalti dell’Anas controllata dal suo ministero. Voi direte: perché allora è stata sincera sul familismo e la questione morale? Perché sa benissimo che esistono e sono uno scandalo, ma non può cacciare nessuno. Sennò svuota prima il suo partito, poi il suo governo.