Siamo nani seduti sulle spalle dei giganti ma intanto ci siamo cavati gli occhi: il tempo che passa, il nuovo anno che è un anno in meno, la crisi climatica spezzettata, l’incapacità dei media di costruire una cornice di senso che restituisca la sua vastità e complessità e la loro pigrizia nel raccontarla in modo spezzettato.
Bernardo di Chartres dichiara che i contemporanei sono nani seduti sulle spalle di giganti: grazie al sapere e allo studio accumulato dall’antichità ai nostri giorni infatti ci è permesso guardare molto in avanti, rimarcando sia la necessità del passato che la forza avanguardistica del presente. Sembra però che la nostra vista manchi di acume, da che rimaniamo miopi nel vedere alcuni grossi problemi in arrivo.
Da questo aforisma è facile fare un altro salto mentale e immaginare che i nuovi nati siano in realtà i più vecchi in assoluto. In effetti le nuove generazioni possono vantare alle loro spalle, dal punto di vista storico, molta più “acqua passata sotto i ponti” (e con le alluvioni degli ultimi tempi davvero tanta). Insomma, se ci riallacciamo all’aforisma del Bernardo sono proprio gli ultimi nati i detentori della massima conoscenza umana, perché hanno più passato e sapere alle spalle. Il dramma, in tempi di crisi climatica, è che la vita delle nuove generazioni, quelle persone che stanno crescendo e formandosi e che hanno una vita intera di fronte a loro, in un’epoca che vede un collasso climatico abbattersi su questo pianeta e che quindi minaccia fortemente la loro esistenza, è nelle mani di persone più vecchie e su spalle più basse. E questo è un grave problema se quel tempo che rimane per avere un domani meno incerto diminuisce sempre di più.
Il 2023 è concluso e mentre nel mondo giunge un nuovo anno pare quasi di tornare indietro nel tempo in termini di diritti e libertà: meno tutele per i lavoratori e le loro famiglie; meno Giulia Cecchetin e femminicidi in aumento; meno migliaia di bambini palestinesi uccisi da Israele dall’inizio della guerra di aggressione; meno 11 miliardi a causa dei danni provocati da eventi climatici estremi solo in Italia; meno 5 milioni di persone con un salario che permetta loro di condurre una vita degna in Italia. Un anno è passato, un anno in meno per cominciare a fare qualcosa di più sensato e assennato che subire questo.
Mettersi sulle spalle dei giganti vuol dire anche guardare gli eventi dall’alto, nella loro complessità, evitando di ridurli di volta in volta al singolo caso, descritto in maniera esasperata, fino a ridurlo a uno sfumato insieme di particolari dei quali si è perso il senso dei contorni. È questa la più grande mancanza dei media in questo momento. In particolare, spezzettare la crisi climatica è un rischio enorme per la comprensione collettiva di quello che sta accadendo: parlare del singolo incendio, del singolo nubifragio o della singola alluvione, annienta la capacità del cittadino di leggere e comprendere nella frammentazione delle informazioni che riceve la portata reale di quello che sta accadendo nel mondo. Che cosa hanno potuto vedere i cittadini dall’alto in questo 2023? Quali sono le reali catastrofi procurate dalla crisi climatica nella sua complessità?
E in questa mancanza si vede l’incapacità di leggere e usare in modo intelligente le azioni di Ultima Generazione, che avrebbero dovuto essere una scusa, un aggancio, un pretesto per riuscire a parlare della crisi e di cosa comporta, da cosa è causata.
L’unica vera interessante domanda da porsi sarebbe stata: cosa spinge delle persone comuni a prendersi 3000 denunce e fogli di via, subire processi. Cosa può spingere una persona a fare questo? E questa domanda avrebbe potuto aprire il sipario sulla mastodontica complessità che noi nani ci troviamo ad osservare e che, se, in quanto crisi, poteva aprire speranze di rinnovamento e cambiamento anche per il meglio, man mano che gli anni per agire diminuiscono, apre solo a scenari sempre più spaventosi. Si sarebbe potuto e si dovrebbe alimentare un dibattito pubblico informato sui fatti della crisi climatica e permettere alle persone di usare il loro senso critico per mettere in dubbio il nostro modello di sviluppo e il nostro modello socioeconomico lì dove vanno messi in dubbio per poterli trasformare.
Siccità, alluvioni, nubifragi, tornadi, frane, mancanza di neve, incendi, crisi idrica, grandine di proporzioni soprannaturale, salinizzazione dei fiumi, terre che diventano incoltivabili, immense perdite di raccolti agricoli, specie animali aliene che distruggono quelle autoctone (vedi il granchio blu), zanzare tutto l’anno con l’avvento di nuove specie che portano nuove malattie (vedi Dengue), centrali idroelettriche ferme con conseguente mancanza di elettricità, intossicazione dell’aria, bolle di calore, surriscaldamento dei mari.
Conseguenze? Decine di miliardi di euro persi a causa dei danni dovuti agli eventi climatici estremi, case e imprese distrutte, Made in Italy a rischio in tutto lo stivale, settore turistico in difficoltà, innalzamento dei prezzi dei beni primari, aumento del costo della vita, morti per le alluvioni, morti per i colpi di calore, morti per la tossicità dell’aria, crisi sociale, insicurezza alimentare, caos e violenze che dilagano, crisi sociale e milioni di migranti del sud globale che fuggono dalla loro terra resa inabitabile.(dovuta anche ai milioni di migranti climatici attesi da qui a vent’anni).
La questione non è da sottostimare, c’è anzi chi parla della più grande sfida mai affrontata dal genere umano.
Per questo 2024, quindi, facciamoci un regalo: saliamo sulle spalle dei giganti e guardiamo avanti, non focalizziamoci sull’accumulare passato ma proiettiamoci sul futuro che manca. E facciamo in modo che non ci manchi davvero.
Chiediamo un Fondo di Riparazione.