Ok l’antifascismo dopo la falange di saluti romani ad Acca Larenzia. Ok l’indignazione per il Fratello d’Italia pistolero. Ok le accuse alla premier di bugie e omissioni nella conferenza stampa di inizio anno. Però come si spiega che nel sondaggio Swg di lunedì scorso il partito di Giorgia Meloni guadagna lo 0,7% mentre Pd, 5Stelle, Verdi e Sinistra perdono alcuni decimali a testa? Ok esistono battaglie di principio, valoriali, che prescindono dai calcoli elettorali.
E fa bene la sinistra, in tutte le parvenze, a ribadire con forza il no alle recrudescenze squadriste. E se pure sono 46 anni che i camerati si esibiscono col braccio teso (anche sotto i governi progressisti che lasciarono tranquillamente fare) davanti alla sezione missina dove furono assassinati i tre militanti del Fronte della Gioventù, ciò non significa che la questione possa essere liquidata con un’alzata di spalle. Se non fosse evidente quanto il sacrosanto antifascismo del Pd (con il fattivo sostegno delle campagne di Repubblica e del gruppo editoriale Gedi), così come la polemica sul caso del deputato con la pistola Pozzolo, punti soprattutto a delegittimare la figura del presidente del Consiglio. O perché circondata da una classe dirigente inadeguata se non addirittura pericolosa. O perché giudicata incapace di prendere le distanze dal torbido mondo dei neri (non per caso). Come se la Meloni si sentisse in qualche modo condizionata dal richiamo della foresta, di quando, cioè, ad Acca Larenzia c’era anche lei, giovanissima militante del Fdg.
Davanti a un legittimo uso politico delle presunte debolezze dell’avversario forse una riflessione su tali modalità di fare opposizione potrebbe non nuocere alle opposizioni divise in partes tres (o quattuor). Poiché lo stillicidio di richieste di dimissioni di questo o di quel membro del governo (bellamente ignorato come l’altro tormentone del: venga a riferire in Parlamento) non solo non porta lo straccio di un voto in più al centrosinistra ma sembrerebbe, al contrario, rafforzare la destra. Con in più la conseguenza di accentuare proprio quelle spinte identitarie e fascistoidi cui la premier cerca di sottrarsi quando, per esempio, deferisce ai probiviri Pozzolo o chiede con durezza ai suoi di “condividere la vita che faccio e la responsabilità che porto”. Una cosa è certa: visti i risultati di conferenze stampa comiziali, coi giornalisti in fuga dalle domande, alla Meloni non converrebbe farne una alla settimana?