La cosiddetta riforma dell’abuso d’ufficio, insieme all’astuto ridisegno delle norme sul traffico di influenze, apre nuovi entusiasmanti scenari nella giustizia italiana: finalmente ras dell’amministrazione, primari ospedalieri, baroni universitari e altri italiani in posti di potere, potranno indossare senza problemi la felpa con scritto: “Faccio il cazzo che voglio”.
Votata in commissione dalla destra moderata (Forza Italia), dalla destra radicale (Fratelli d’Italia, Lega) e dalla destra saudita (Italia Viva), la riforma veleggia ora verso il Senato, dove forse incontrerà alla buvette le norme che vietano la pubblicazione delle ordinanze cautelari. Due provvedimenti che si sposano alla perfezione: se uno viene arrestato non si potrà scrivere perché e percome, ma d’altra parte possiamo stare tranquilli che per traffico d’influenze o abuso d’ufficio nessuno sarà arrestato: non fa una piega.
Lascerei le questioni giuridiche ai giuristi, comunque, non mi addentrerò nei tecnicismi. Quel che preme sottolineare qui è una rivoluzionaria visione del mondo, per cui essendo il reato scomodo e fastidioso a chi comanda, basta abolirlo. E se resta scomodo, basta non poterne parlare. E in ogni caso i reati, sia chiaro, restano patrimonio dei poveracci. Ecco, non lascerei questa rivoluzione a metà, ma l’amplierei e la preciserei per altri reati. Il furto, per dirne una, va contestualizzato. Un conto è un povero che ruba per invidia sociale, un altro conto è il ricco che ruba per far rendere meglio la refurtiva, investirla, creare posti di lavoro, come è noto facciano i ricchi, munifici e generosi, per aiutare i poveri, dandogli addirittura un salario. Prossima riforma, dunque, presentare l’Isee al momento dell’arresto.
Ottimi sviluppi sul divieto di sosta: se in divieto è parcheggiata una Panda marcia, multa sicura. In caso di parcheggio illegale di una fuoriserie, invece, è chiaro che abbellisce la città e dona un certo tono all’intera strada, urge sanatoria. In generale, se ne ricava che la miglior battuta satirica è ancora “La legge è uguale per tutti”, con la sua variante “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, che in effetti fa sbellicare.
Divertente notazione a margine: la “riforma” dell’abuso d’ufficio viene presentata come norma “liberale”, e si sa che ormai la parola “liberale” si usa in modo piuttosto liberale per intendere di limitare i poteri dello Stato e altre seccature. Quelle cose che impediscono colpevolmente – per intenderci – di attribuire i lavori pubblici alla ditta di tuo cugino o di promuovere viceprimario chi manda molti clienti alla clinica privata del primario.
Peccato che il concetto di abuso (d’ufficio e di potere) sia entrato negli ordinamenti europei dopo la Rivoluzione francese, ispirato proprio da una filosofia liberale del diritto. La possibilità di essere cittadini e non sudditi, era in effetti una cosa piuttosto liberale, che chi si dice “liberale” oggi tende a contestare. In poche parole, la libertà insindacabile di un amministratore, di un pubblico ufficiale, di un qualsiasi detentore di potere decisionale, ci riporta dalle parti di Carlo Magno, o almeno del Marchese del Grillo. E quindi ecco che (trucco molto in voga) si traveste da liberale ciò che invece è profondamente autoritario e si compone, alla fine, un divertente disegnino per cui chi occupa posti di potere può vantare un codice penale diverso dagli altri. Gli si garantisce, insomma, che il suo potere può contenere anche un abuso, e gli abusati, peggio per loro.