I dati

Calderone smentita dall’Inps, il nuovo Rdc parte solo per un terzo della platea. Patronati: “Domande ferme, ecco perché”

Assegno di inclusione - Servizi sociali: "Non chiare le indicazioni del ministero, blocchiamo le certificazioni"

26 Gennaio 2024

“I 450 mila nuclei che hanno fatto domanda per l’Assegno di inclusione entro il 7 gennaio, da domani potranno ritirare la carta e quindi saranno effettuati i pagamenti”, ha dichiarato ieri la ministra del Lavoro, Marina Calderone. Non è vero e lo dice l’Inps: delle 418.527 domande arrivate entro i primi di gennaio, 13.362 restano in istruttoria e “117.461 sono state respinte per mancanza di requisiti”. In pagamento vanno 287.704 domande, metà di quelle dichiarate dalla ministra, un terzo della “platea di 737 mila nuclei” da lei stimata per la misura che ha sostituito il Reddito di cittadinanza. Lo scivolone non è sfuggito alle opposizioni. “Significa che questo mese gli “esodati” del Reddito di cittadinanza non saranno 300mila, come inizialmente previsto, ma ben 450mila”, ha commentato il deputato M5S in commissione Lavoro Dario Carotenuto.

Calderone dà i numeri, dunque, ma non dice che tante domande sono semplicemente bloccate e chi le ha presentate, per ora, non prende nulla. Il motivo? Le indicazioni del ministero, dicono gli addetti ai lavori, non sono chiare, tanto che i servizi sociali non stanno rilasciando le necessarie certificazioni. “Qui in Calabria sono bloccate per questo motivo fino al 50% delle richieste passate dai patronati”, racconta il direttore del patronato Inca Cgil di Catanzaro, Luigi Vitale. Dalla Sicilia al Piemonte, accade ovunque. “La presa in carico dei servizi sociosanitari deve precedere la domanda”, spiegano i patronati. Niente presa in carico, niente certificazione, niente Assegno di inclusione (Adi). Perché, ha rivendicato Giorgia Meloni, “a differenza del Reddito di cittadinanza, i controlli li facciamo prima e non dopo”. Il decreto con le linee guida, invece, l’hanno fatto in ritardo, il 29 dicembre, con le domande al via già dal 18. E l’hanno pure scritto male. “La casistica per inquadrare le condizioni di svantaggio è insufficiente e le istruzioni ambigue”, concordano gli assistenti sociali contattati dal Fatto. Così le amministrazioni hanno deciso di non avviare nuove prese in carico finché non arrivano le precisazioni promesse dal governo.

Bontà sua, Calderone ha già avviato il confronto con i comuni, “ma a questo punto molti dovranno aspettare mesi prima di ricevere l’Assegno”, assicurano patronati e servizi sociali. “Mettere a fuoco una condizione di svantaggio richiede tempo e così l’inserimento in programmi di cura e assistenza”, spiega un assistente sociale umbro. “Già per prenotare una visita medica non bastano due mesi”, aggiunge un collega lombardo. Non è tutto. Nessuna delle domande per l’Assegno compare ancora sulla piattaforma per la Gestione dei Patti per l’inclusione sociale (GePi) dei comuni. I beneficiari devono presentarsi presso i servizi sociali entro 120 giorni dalla domanda, ma finché i nominativi non compaiono è inutile. Chi ha fatto richiesta a dicembre ha già perso un mese e mezzo. “Si rischia un collo di bottiglia che costringerà i servizi a occuparsi delle domande accolte perché non perdano il sussidio, a scapito delle nuove prese in carico e rinviando ulteriormente le certificazioni necessarie alle domande bloccate”, si rammaricano gli assistenti sociali. “Cosa dicono le persone quando spieghiamo che la loro richiesta è bloccata? La prendono male, tanti non hanno un soldo. L’80% ha esaurito il Rdc a novembre e il Natale è stato magro”, racconta Vitale dal suo patronato . “Dovevano testare il sistema, hanno deciso di farlo sulla pelle delle persone”. E proprio a Catanzaro è stato presentato ieri un progetto di legge per istituire un “reddito di dignità regionale”. “Una risposta all’emergenza sociale determinata dall’eliminazione del reddito di cittadinanza, soprattutto in Calabria dove circa 10.000 persone rischiano di restare privi di qualsiasi tutela”, ha spiegato il consigliere regionale del Pd Raffaele Mammoliti che ha lanciato l’iniziativa.

Come non bastasse la riforma del governo non tiene conto delle le forze in campo. L’Assegno di inclusione sbatte in prima linea i servizi sociosanitari senza aver risolto la strutturale carenza d’organico. “Raccogliamo ogni giorno segnalazioni che trasudano rabbia e frustrazione da parte del personale pubblico coinvolto, quali servizi sociali, sanitari, sociosanitari pubblici, compreso il settore della giustizia, che denuncia da un lato un aumento drammatico del carico di lavoro e dall’altro l’assoluta mancanza di valorizzazione e rafforzamento del personale stesso”, hanno scritto i segretari nazionali di Fp Cgil, Tatiana Cazzaniga e Michele Vannini, alla ministra Calderone, a quello della Salute, Orazio Schillaci, e della Giustizia, Carlo Nordio. Definiscono l’Assegno un “mostro di burocrazia” e ricordano che “l’Ufficio parlamentare di bilancio conferma, ad esempio, che per raggiungere il livello essenziale di un assistente sociale ogni 5000 abitanti nei soli Comuni servono 3216 unità, soprattutto al Sud del paese. E’ ancora molto alta la percentuale di personale precario, e perfino cronica è la carenza del personale amministrativo che opera nei servizi sociali”. Peggio: “L’integrazione con servizi Asl e del lavoro, formalmente prevista sulla carta, praticamente è inesistente e gli obiettivi con indicatori quantitativi assurdi fissati dall’amministrazione non fanno altro che trasformare la cosiddetta ‘presa in carico’ in colloquificio puro e semplice”. E avvertono: “Più le procedure si complicano e più si ingolfa il personale, meno saranno le persone fragili che riusciranno ad ottenere un sostegno”.

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