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ILARIA SALIS, LA POLITICA SI SVEGLIA (MA LA DESTRA SI AFFRETTA A DIFENDERE L’ALLEATO ORBAN). Sono servite quasi 24 ore, ma alla fine il caso è esploso: l’Italia s’è resa conto che una propria connazionale, Ilaria Salis, è detenuta in Ungheria in condizioni pessime. Le foto che la ritraevano ieri in ceppi, in un’aula di tribunale, hanno quanto meno smosso la politica. O le dichiarazioni politiche. Il ministro degli Esteri s’è attivato immediatamente: da ieri sera continua a chiedere che venga rispettata la dignità della donna, ma solleva da ogni responsabilità l’“amico” Orban. Tajani ha anche provato a giustificare il silenzio dei mesi precedenti – Salis è in stato di carcerazione preventiva da 11 mesi – sostenendo di non aver mai visto prima l’accompagnamento in catene. Eppure, fa sapere il padre dell’insegnante 39enne, alle quattro udienze precedenti era presente l’ambasciatore italiano a Budapest. I genitori le faranno visita domani in carcere. Nel siparietto della politica nostrana, non poteva sfigurare il cognato d’Italia: “Non ho visto le immagini, non commento” ha sostenuto il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. I 5 Stelle hanno annunciato un’informativa urgente alla premier Meloni, chiamata a intervenire anche dal Pd. Il presidente del Senato Ignazio La Russa invece ha annunciato che incontrerà il padre di Salis il 2 febbraio. Sul Fatto di domani approfondiremo la vicenda e capiremo se il trattamento riservato a Ilaria Salis è una pratica contraria al diritto europeo. Intanto il Dipartimento penitenziario ungherese si difende sostenendo che le accuse mosse al sistema sono completamente infondate.
ELLY E GIUSEPPE, URSULA E GIORGIA, LE STRANE COPPIE VERSO LE EUROPEE. Al vertice Italia-Africa di ieri mancavano molti Paesi africani, come abbiamo rilevato oggi sul Fatto. Il piano Mattei è poco più di una dichiarazione d’intenti. Una presenza in particolare, però, aveva un chiaro significato politico, quella di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Non tanto perché ieri ha annunciato “una nuova era di cooperazione” tra l’Ue con la Banca africana di sviluppo, ma perché quella di ieri è stata almeno la sesta visita di von der Leyen in Italia nell’ultimo anno a fianco di Meloni. La presidente della Commissione era già stata con Giorgia Meloni sui luoghi dell’alluvione in Emilia-Romagna due volte, alla conferenza internazionale sulle migrazioni organizzata dal governo a luglio, a un incontro con il presidente della Tunisia Kais Saied. Tra le due donne si è consolidato un vero e proprio asse, che guarda alle prossime elezioni europee di giugno e forse è un’operazione per cementare i rapporti tra il principale partito del gruppo dei Conservatori Europei (Ecr), Fratelli d’Italia, e il Partito popolare europeo, di cui Ursula è espressione. Ma soprattutto una manovra di von der Leyen che vorrebbe un secondo mandato come Commissaria e quindi cerca voti trasversali per essere eletta. Come ha detto il decano del centrosinistra Romano Prodi, Meloni funziona da polizza d’assicurazione per von der Leyen. Sul Fatto di domani approfondiremo. Seguiremo anche l’evoluzione dei rapporti tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein, dopo la distanza che si è scavata a partire dal caso Rai: il Pd ha convocato un sit-in contro l’occupazione dei posti da parte del governo Meloni, il 5S non ci sarà perché ricorda che anche il Pd li ha occupati.
SGARBI SALVATO DALL’AULA, MA CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE CONTRO EX SINDACA RAGGI. Volendo dare retta ai suoi colleghi di maggioranza, che ieri lo giustificavano dalle esternazioni a dir poco volgari contro un giornalista di Report dicendo che era stata “solo una giornata no”, potremmo dire che anche oggi è stata una giornata negativa per il sottosegretario alla Cultura. Vittorio Sgarbi è stato condannato a pagare 2000 euro all’ex sindaca di Roma Virginia Raggi per l’accusa di diffamazione. Il giudice ha disposto anche una provvisionale di 20mila euro in favore della politica 5S (è una somma di denaro liquidata dal giudice in favore della parte danneggiata come anticipo sull’importo integrale che le spetterà in via definitiva). La vicenda risale al febbraio 2018, quando durante una trasmissione televisiva il critico d’arte aveva preso di mira l’amministrazione guidata da Raggi in relazione all’ipotesi di abbattimento di una villa liberty, definendo la gestione della Capitale come “la Palermo di Ciancimino” e il M5S di essere “come la Democrazia Cristiana a Palermo degli anni 70”, nel senso di “mafioso”. Intanto in Parlamento si discute la mozione di revoca della nomina alla Cultura, che però sarà ostacolata da tutta la maggioranza su indicazione diretta della premier. Il voto è atteso per domani. Ieri il sottosegretario ha sporto querela contro Report e i due autori dell’inchiesta su un quadro di Valentin De Boulogne comprato e rivenduto, tra cui il nostro Thomas Mackinson. Sgarbi sostiene che “quel dipinto, per le perizie e per gli esperti, non è un Valentin de Boulogne e io non sono mai stato il proprietario” e chiede 5 milioni di risarcimento. Alla Sul Fatto di domani vedremo altre novità sul caso.
GUERRA A GAZA, ESTREMISTI CONTRO LA TREGUA. HAMAS: “SE ISRAELE NON ESCE DALLA STRISCIA, DICIAMO NO”. NETANYAHU: “NON CI RITIRIAMO”. L’IDF INIZIA AD ALLAGARE I TUNNEL. Nel 116° giorno di guerra, in seguito al massacro del 7 ottobre firmato da Hamas, con 1.200 morti e più di 300 ostaggi, gli occhi sono puntati sulla possibilità di una tregua. Dopo i colloqui avvenuti a Parigi, vi sarebbe uno spiraglio. Il segretario di Stato americano, Blinken, sabato arriverà in Medio Oriente per la sesta volta, proprio per cercare di concludere l’accordo. Ma su entrambi gli schieramenti si sollevano contrarietà. In Israele, per il leader della destra radicale, Ben Gvir, l’accordo con Hamas è “irresponsabile” e significherebbe “la spaccatura del governo”. Il premier Netanyahu sembra rassicurarlo: “Non ritireremo l’esercito da Gaza e non libereremo centinaia di detenuti”. Nell’intesa dello scorso novembre, il rapporto è stato di un ostaggio in cambio di tre detenuti palestinesi. Ismail Haniyeh, leader dell’ufficio politico di Hamas si recherà in Egitto “per discutere i dettagli del piano” ma ricorda che per gli islamisti “la priorità è porre fine all’offensiva israeliana con il ritiro delle sue forze dalla Striscia di Gaza”. Più esplicito è Mohammad Nazzal, altro esponente di rilievo di Hamas: “Senza un ritiro israeliano da Gaza, non possiamo accettare questa nuova proposta”. Sulla stessa linea la Jihad Islamica. Intanto la battaglia prosegue, soprattutto nella parte sud della Striscia, come conferma il ministro della Difesa, Gallant, che sul futuro di Gaza vede un modello Cisgiordania: l’esercito israeliano resterà per mantenere il controllo militare. Proprio in Cisgiordania, a Jenin, per eliminare tre miliziani islamisti le forze speciali israeliane sono entrate in un ospedale travestiti da medici. Sul Fatto di domani leggerete altri particolari sulla crisi del Medio Oriente e su quanto accade a Gaza: l’esercito israeliano ha annunciato che è in grado di allagare i tunnel di Hamas, ed avrebbe già iniziato a farlo.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Corruzione, l’Italia non si muove più. Nella classifica di Transparency International il nostro Paese non migliora più, a causa delle ultime riforme della giustizia. L’ong internazionale che monitora la corruzione percepita segnala le carenze del nostro Paese sulla regolamentazione delle lobby e del conflitto d’interesse.
Edilizia, il disastro della fine del Superbonus. Ance e Legacoop lanciano l’allarme per le conseguenze dello stop al Superbonus che nel 2023 ha generato lavori per 44 miliardi (con i conseguenti benefici su casse dello Stato, occupazione e Pil): Nonostante le opere del Pnrr (+21%) si prevede un calo del 7,4 e del 27% nel caso dei lavori di ristrutturazione. Cosa che provoca un ridimensionamento della crescita a un misero +0,4%.
Disforia di genere, la nostra inchiesta. Dopo il caso dell’ospedale Careggi di Firenze, sul giornale di domani la nostra inchiesta sulle transizioni tra i minorenni.
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L’Autonomia regionale targata destra è una mina (anche) per l’ambiente
di Elisabetta Ambrosi
Una “mina innescata” la considera il Wwf, mentre Paolo Pileri, ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano (in un articolo su “L’Altra economia”), la definisce “una vera bomba, perché se c’è una formula sicura per fare a pezzi l’ambiente è quella di smantellare il governo del territorio”. Stiamo parlando dell’articolo 6 del disegno di legge 615, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, approvato dal Senato il 23 gennaio scorso e le cui possibili, gravi, ricadute anche sull’ambiente e sugli ecosistemi hanno messo in allarme associazioni ed esperti.
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