Le dimissioni di Vittorio Sgarbi da sottosegretario alla Cultura dimostrano che il giornalismo d’inchiesta, quando è svolto con professionalità e coscienza e nasce dal sano vizio di indignarsi ancora, mantiene un grande valore sociale e politico. Il merito di quest’altra piccola medaglia per il Fatto Quotidiano è del nostro Thomas Mackinson, che per primo raccolse le denunce di un supertestimone ministeriale, sdegnato per le scorribande fuorilegge del sottosegretario, e le verificò, scoprendo ben 33 fra incarichi, consulenze, expertise, mostre (anche curate da lui), presentazioni ed eventi retribuiti per un totale di 300 mila euro in nove mesi che Sgarbi, da membro del governo, non aveva dichiarato all’Antitrust, pur avendo il dovere di farlo (anche nel caso di iniziative gratuite). È per questo scandalo, ignorato dall’intera stampa italiana, che ieri l’Antitrust ha dichiarato Sgarbi incompatibile con ruoli governativi, costringendolo alla resa. Un’inchiesta giornalistica da “cani da guardia del potere” che non nasceva da indagini giudiziarie perché non riguardava reati, ma questioni di “disciplina e onore”: l’articolo 54 della Costituzione, l’unico metro che conosciamo per misurare la “questione morale” cara a Enrico Berlinguer.
Poi, lavorando su Sgarbi, Mackinson si è imbattuto negli scandali di alcuni quadri di dubbia attribuzione, fino a quello clamoroso della tela del Manetti rubata e identica a quella finita nelle mani del sottosegretario con l’aggiunta di una candela sullo sfondo. Qui, lungi dall’andare a rimorchio della magistratura (altro che “manettari”), siamo stati noi, con l’aiuto di Emanuele Bonaccorsi di Report, a fornire ad alcune Procure gli spunti per avviare indagini giudiziarie. E quando il caso è approdato in tv il resto della stampa italiana è stata costretta ad accorgersi di ciò che avevamo scoperto e a rompere la solita cappa di omertà, mentre il governo seguitava a tacere e Sgarbi a insultarci, denunciarci e minacciarci. Intanto lo scandalo aveva già fatto il giro del mondo, su alcuni fra i più prestigiosi quotidiani internazionali, da cui ricevevamo telefonate di incredulità: “Ma possibile che queste cose le scriviate solo voi?”.