Da un lato la dottrina dei farisei, dall’altro la misericordia e l’amore. Come parlare di Cristo e del Vangelo all’altro, anche “lontano” per citare don Primo Mazzolari? Sostiene Zuppi: “Non ripetere qualcosa di distante, pensando che il problema sia il suo e non il nostro, che parliamo ‘latino’ o che pensiamo di scaldare il cuore comunicando una regola e non un amore”.
In una lunga e densa intervista pubblicata nell’ultimo quaderno della Civiltà Cattolica, la prestigiosa rivista quindicinale dei gesuiti, il presidente dei vescovi italiani Matteo Zuppi, cardinale e arcivescovo di Bologna, stronca in modo chiaro l’idea di un ritorno al passato (ruiniano e ratzingeriano che sia, in ogni caso di destra e clericale) per fronteggiare il fenomeno della crisi delle chiese semivuote. Dice Zuppi: “Le reazioni all’osservazione di questo fenomeno sono varie, come lo sono le reazioni alle proposte di papa Francesco. C’è quella identitaria, muscolare, ‘conflittiva’, di fronte al mondo che si trasforma e ci trasforma. La possiamo sintetizzare nel ‘chiudiamoci in un monastero’, evocata da un noto libro di qualche anno fa. Una Chiesa che deve resistere; che all’interno rimprovera a sé stessa di non essere abbastanza identitaria”.
Il riferimento del presidente della Cei è al noto libro dell’americano Rod Dreher, L’opzione Benedetto, diventato emblema di una Chiesa che si sente assediata e alza i ponti levatoi per isolarsi e difendersi. Un’immagine che si può accostare al pontificato di Ratzinger, il papa filosofo che qualcuno ha descritto come una “sentinella nella notte, posta sola a difesa della casa di Dio”. Non a caso, il cardinale Zuppi non cita mai i valori non negoziabili e piuttosto critica l’insistenza sulla sola applicazione letterale delle regole morali della Chiesa.
Ma a colpire è soprattutto il tono del capo dei vescovi per l’intera intervista – per nulla cerchiobottista in questa occasione, come era capitato invece di recente – laddove si percepisce (col cuore) un cattolicesimo opposto a quello che ha dominato la Chiesa italiana per quasi un ventennio, dal 1991 al 2007. Ossia la Cei post-democristiana ma ancor più militante e interventista in politica del cardinale Camillo Ruini. La pietra angolare di quella Chiesa fu il “Progetto Culturale” che auspicava di egemonizzare l’Italia nel nome dei citati valori non negoziabili, dalla nascita alla morte. In pratica, una fede ideologizzata e chiusa e senza misericordia (è sufficiente ricordare le porte chiuse di una parrocchia romana alla bara di Welby).
Il “Progetto” a mano a mano si è ridimensionato a destra (nel 2019, per dire, Ruini aveva simpatie per Salvini) e il suo bilancio fallimentare è stato infine prodromico agli anni bui della Chiesa italiana del cardinale Tarcisio Bertone, il “premier” vaticano di Benedetto XVI che avocò a sé la gestione delle relazioni politiche dei Palazzi romani. Anni che rinnovarono l’incubo sinistro dell’affarismo piduista e mafioso dello Ior di Marcinkus e che furono alla base della rinuncia di Ratzinger e della successiva elezione, in senso anti-curiale, di Bergoglio. Questo invece il pensiero di Zuppi sulla politica: “Personalmente sono convinto che, come per la politica, la presenza dei cattolici non debba assumere più le caratteristiche di un’appartenenza monolitica, dichiarata e schierata”.