Oggi abbiamo deciso di dedicare la nostra pagina delle lettere ai tantissimi genitori che, dopo la nostra inchiesta su minori e disforia di genere, ci stanno scrivendo. Potrete leggere tutte queste lettere (e anche quelle che qui non hanno trovato spazio) sul nostro sito.
Dopo il lockdown, mia figlia s’è sentita maschio
Sono mamma di una 16enne e vorrei ringraziarvi per aver dato spazio alle nostre voci e aver acceso in noi un briciolo di speranza. Mia figlia nel 2021 a 14 anni dopo il lockdown e dopo un’assidua frequentazione di social network e youtuber, che prende a esempio, si dichiara maschio. Contro la nostra volontà fa transizione sociale con coetanei e scuola ma fortunatamente non in casa dove a fatica non abbiamo ceduto. Da sempre insicura, difficoltà scolastiche, incostanza nelle relazioni, disagio per le sue differenze somatiche (è adottata) paura dell’abbandono e ansia ci hanno portato molto presto a essere seguiti da uno psicoterapeuta. Purtroppo però le due precedenti esperienze non sono state positive. Attualmente abbiamo iniziato un percorso con una terapeuta esplorativa, grazie all’aiuto di GenerazioneD. Quello che chiediamo è che si prenda il tempo necessario per poter esplorare se stessa e trovare il modo di alleviare le sue sofferenze e fare le sue scelte in modo consapevole. Noi saremo sempre al suo fianco! Grazie per la grande opportunità che ci state dando.
S.
Gli influencer possono dare l’esempio sbagliato
Siamo genitori di una ragazzina che è stata una bimba libera e felice. A 12 anni, durante il lockdown, il buio: ansia, tristezza, depressione, isolamento. Ne è uscita mesi dopo creandosi una spessa corazza. Dichiaratasi trans come gli influencer che seguiva su Instagram o TikTok, ha tagliato i lunghi capelli, fasciato il seno e voltato le spalle al suo corpo, al suo nome, al suo genere. “Non sono femmina, sono trans”. Ondate di approvazione e visibilità l’hanno travolta rinforzando la sua nuova armatura e fomentando l’odio per la ragazza che era stata. Per molto tempo ci è sembrato di essere i soli a pensare che confermarle di “essere un maschio” a soli 13 anni potesse farle credere che cambiare sesso sia qualcosa che si può fare senza problemi (come credeva lei, imbambolata da ciò che circola in Rete, purtroppo anche da fonti che dovrebbero essere autorevoli). Eravamo i soli a preoccuparci delle rinunce future (maternità, piacere sessuale): “Eh ma pensate troppo avanti”, come se i genitori non facessero questo di mestiere. Poi abbiamo trovato pensieri critici in inglese, un gruppo di genitori preoccupati come noi, qualche psicologo onesto e coraggioso e delle giornaliste oneste e coraggiose, come la vostra vicedirettrice Maddalena Oliva e Natascia Ronchetti del vostro giornale. Finalmente se ne parla! I genitori non possono essere costretti a prendere decisioni così pesanti sulla base della minaccia del suicidio! Soprattutto quando non esistono prove che la transizione medica riduca i tassi di suicidio, anzi.
M&F
Le famiglie ricattate da minacce di suicidio
Voglio ringraziarvi per lo spazio che dedicate al tema e per la vostra professionalità e sensibilità. Si sta cominciando a sollevare la coperta, scoprendo molte storie di sofferenza, poco affrontate dagli organismi preposti e malamente supportate. Siamo trincerati dietro il ricatto del suicidio. La testimonianza di quel papà nella diretta social che avete fatto è uguale alla mia e di altre famiglie distrutte.
G.
I rischi di transizioni troppo precipitose
Sono il padre di una quindicenne che dopo il lockdown si è dichiarata trans. Il primo impatto con una psicoterapeuta affermativa non ci ha incantato. Pur nella totale confusione e in preda a uno strazio che non auguro a nessuno, senza smettere di amarla nemmeno un secondo, ci siamo messi in ascolto del suo grido di dolore. Senza affermarla come maschio, ma nemmeno senza spingerla verso la femminilità, senza terapie farmacologiche, ha avuto lo spazio e il tempo grazie a una terapeuta esplorativa di capire chi è: una giovane ragazza che si affaccia con grande timore alla vita adulta. L’essere maschio era una corazza protettiva, che non le serve più. Se non avessimo avuto la forza di contrastare il messaggio che la transizione è la soluzione di tutti i mali, forse nostra figlia si sarebbe rovinata per sempre. Grazie per raccontare una diffusissima realtà che viene ignorata o ‘normalizzata’ a dispetto del buon senso.
Un padre
Noi genitori alle prese con un pedofilo
Gentile Dott.ssa Oliva,
Ci permetta di esprimere a Lei e alla Dott.ssa Ronchetti la nostra immensa riconoscenza per aver saputo affrontare con professionalità e oggettività l’argomento difficile e doloroso della disforia di genere nei ragazzi adolescenti. Io e mio marito abbiamo letto i vostri articoli e ascoltato il vostro intervento sul canale online de Il Fatto Quotidiano con l’intervista ad un padre di una ragazza in transizione. Eravamo felicissimi, finalmente non si raccontavano soltanto le storie di quelle famiglie che decidevano consapevolmente di accompagnare i propri figli sul percorso della transizione ormonale (chapeau a loro), ma anche le storie di quelle famiglie che credono che non sia tanto irresponsabile nutrire qualche dubbio sugli improvvisi coming out come transgender dei propri figli che non avevano mai manifestato disagi riguardo la propria identità sessuale. Siamo tra i tanti genitori che preferirebbero un approccio prudente di “vigile attesa” al posto del tanto decantato “approccio affermativo” applicato anche in Italia dai professionisti che si occupano della disforia di genere. Siamo sempre stati genitori molto aperti e tolleranti, decisamente non razzisti, o omofobi, o addirittura transfobici. Rispettiamo le opinioni altrui, anche se diverse dalle nostre, e ci preme soprattutto che le decisioni, anche quelle più estreme, vengano prese con la maggior consapevolezza derivata da studi scientifici e non da posizioni fortemente influenzate da ideologie basate sulla convinzione che non esista più una realtà oggettiva, compresa la binarietà del sesso che viene rinominato a “genere” e viene concepito come una realtà soggettiva che non può essere contraddetta in alcun modo.
La scorsa settimana ho avuto un’intervista telefonica con la Dott.ssa Ronchetti. La nostra storia è un po’ diversa da quelle lette o raccontate finora che riguardano una maggioranza di ragazze adolescenti con disforia di genere ad esordio rapido (ROGD). Siamo i genitori di un ragazzo di 20 anni con diagnosi di autismo ad alto funzionamento (Asperger), con alto quoziente intellettivo, e con deficit dell’attenzione (ADHD). E’ sempre stato un ragazzo timido, con pochi interessi assorbenti, poco aperto socialmente, ma con un carattere tranquillo che lo ha portato ad avere sempre amici che lo hanno aiutato e che lo sostengono tutt’ora.
Dall’età di 4 anni nostro figlio è sempre stato seguito da centri specializzati di psicodiagnostica a Roma a seguito di un Disturbo Evolutivo del Linguaggio (all’inizio parlava pochissimo) che successivamente si è associato ad un Disturbo Iper-ansioso e ad un Disturbo Evolutivo specifico delle abilità scolastiche (DSA). Ha frequentato le elementari con il sostegno. La terapia è durata fino all’età di 11 anni e nei test effettuati ogni anno non era mai stata rilevata un’incongruità/disforia di genere, anzi veniva proprio specificato “Buona identità di genere”.
Durante le medie gli abbiamo affiancato un tutor (uno psicologo) per sostenerlo nello studio. Alle superiori non ce n’è stato bisogno, uscito dalla maturità con 98!
Ad aprile 2021 (dopo i vari lockdown) la nostra vita cambia drasticamente quando una mattina nostro figlio ci fa trovare un biglietto sul tavolo in cucina dove c’era scritto che lui era una “ragazza trans”, che era nato nel corpo sbagliato e che voleva essere aiutato. Per noi genitori è stato come ricevere un pugno nello stomaco, mai avremmo immaginato che lui potesse provare un tale disagio e che avemmo dovuto affrontare un tale percorso a noi completamente sconosciuto. Mentre avevamo sempre affrontato i vari problemi di nostro figlio con coraggio, questa volta non sapevamo proprio a quale santo rivolgerci. Nostro figlio ci chiedeva di essere aiutato, e l’unica soluzione che ci è venuta in mente è stata quella di affidarlo allo psicologo che conosceva nostro figlio dall’età di 11 anni (il tutor). Secondo lui nostro figlio era soltanto molto confuso, ma data la sua persistenza nella convinzione di essere trans dopo quasi 6 mesi di terapia, a dicembre 2021 questi ci ha indirizzati ad un centro per la disforia di genere collegato ad un grande ospedale con l’idea che quando questo avesse emesso una diagnosi negativa nostro figlio si sarebbe messo l’anima in pace. Pensavamo che al centro avrebbero svolto una terapia esplorativa per capire le radici del disagio manifestato, invece l’intervento è durato 6 mesi ed è consistito semplicemente in singoli incontri mensili della durata di un’ora circa dove si parlava per 10-15 minuti scarsi con la psicologa di turno, mentre per il resto del tempo mio figlio riempiva un numero infinito di questionari senza alcuna supervisione. Rivolgersi a questo centro è stato il più grande errore della nostra vita. Non sapevamo che chiunque entra in questi centri ne esce sempre con la diagnosi di disforia di genere in mano. Come ci ha spiegato in seguito uno psicologo non-affermativo, la validità dei test specifici per la disforia di genere è molto discutibile perché il test la rileva sempre quando il soggetto “se la sente”, non soltanto quando questa esiste veramente. All’inizio la direttrice del centro ci aveva spiegato quanto questa situazione fosse normale, e che il sesso e il genere non erano binari, cioè maschio e femmina, ma erano uno spettro e bisognava capire in quale zona dello spettro ricadeva nostro figlio. Ci aveva quasi convinti e, almeno io, avevo persino iniziato a chiamarlo al femminile, ma mi sarei ricreduta quanto prima.
L’unico aspetto positivo di questa esperienza è che quando abbiamo espresso al centro il dubbio che nostro figlio potesse essere “Asperger” siamo stati indirizzati ad un altro centro e la diagnosi di autismo è arrivata a settembre 2022. Scoprire questa comorbidità importante però non ha minimamente influito sul percorso intrapreso al centro di disforia di genere, anzi, hanno sostenuto che l’autismo non è causa della disforia di genere nonostante l’altissima percentuale di autistici disforici (50%), mentre noi abbiamo scoperto in seguito che esistono studi scientifici che invece hanno esplorato questa connessione. I ragazzi autistici infatti sono notoriamente molto restii ai cambiamenti; in alcuni casi i cambiamenti fisici ed emozionali come quelli sperimentati durante la pubertà possono creare un forte disagio che essi non riescono ad interpretare a causa della loro condizione di neurodivergenza. Per loro non esistono sfumature, tutto è bianco o nero, e per questo motivo, se il disagio riguarda proprio i cambiamenti del corpo, allora questo può essere interpretato come “essere in un corpo sbagliato” e quindi di essere del sesso opposto.
Questo è quello che è accaduto a nostro figlio, che lo ha portato, invece di confidarsi con noi genitori, ad iniziare una ricerca online su forum di Internet e chat di Telegram dove ha incontrato altri ragazzi/e con problematiche simili. La nostra convinzione è che si sia fatto influenzare, se non addirittura plagiare, attraverso le chat di Telegram da lui assiduamente frequentate. Infatti, come altri genitori, abbiamo notato l’uso di un linguaggio da libro stampato, con terminologie specifiche dell’ideologia dell’identità di genere che ci facevano pensare ad un’opera minuziosa di indottrinamento compiuta durante le infinite ore passate chiuso in camera con il computer come unico mezzo di comunicazione con il resto del mondo.
Ritornando alla diagnosi di disforia rilasciata a novembre 2022, è sicuramente interessante il fatto che mentre questa consigliava di proseguire con la “transizione sociale”, a mio figlio veniva dato subito il contatto dell’endocrinologo dell’ospedale per iniziare la transizione ormonale che purtroppo ha iniziato a marzo 2022 (era ormai diventato maggiorenne). Abbiamo cercato in tutti i modi di convincerlo ad aspettare prima di prendere sostanze che avrebbero sicuramente danneggiato il suo corpo sano, almeno fino a quando non avrebbe avuto qualche beneficio dalla terapia per l’autismo, ma non c’è stato niente da fare. Purtroppo siamo stati anche sfortunati nella scelta del centro per l’autismo. Infatti, dopo mesi di terapia non solo non abbiamo visto risultati significativi per il superamento delle difficoltà legate alla sua condizione, anzi, abbiamo osservato un peggioramento del carattere, oltre ad un rapporto troppo affermativo e accondiscendente da parte dei suoi terapeuti, con la conseguenza che noi genitori venivamo percepiti come i nemici. Purtroppo nostro figlio, anche se con un quoziente intellettivo superiore alla media, ha un livello di maturità pari a quella di un ragazzino di 13-14 anni che deriva dal suo disturbo di ADHD, ma questo non è stato mai tenuto in considerazione, né dal centro per la disforia di genere, né dall’endocrinologo. Eppure, nelle varie linee guida mondiali per il trattamento della disforia di genere, anche in quelle più di parte come quelle della WPATH, è stata sempre indicata la cautela quando esistono condizioni di comorbidità, come l’autismo o altri disturbi della personalità!
La nostra vita è cambiata radicalmente quando abbiamo conosciuto l’associazione GenerAzioneD attraverso un programma trasmesso a tardissima ora in TV all’inizio del 2023. Ci siamo subito iscritti sul loro sito FB e abbiamo iniziato una specie di “corso di formazione” in disforia di genere attraverso la lettura di articoli, libri e la visione di programmi e canali di tutto il mondo dedicati all’approfondimento della cosiddetta “Teoria Gender” che è alla base di questo pazzesco stravolgimento della realtà. Ci si è aperto un mondo. Ma soprattutto abbiamo scoperto di non essere soli e di poter contare sull’appoggio di tanti altri genitori nelle stesse nostre condizioni. E’ stato grazie a loro che finalmente le nostre storie di disperazione hanno trovato voce sui media e ci sembra di vedere un puntino di luce in fondo al tunnel.
Ora mio figlio sta continuando a prendere gli ormoni, ma almeno è seguito da un centro di eccellenza per l’autismo dove credono che la sua disforia di genere dipenda dal suo modo speciale di interpretare le emozioni e di percepire il disagio con il proprio corpo. Chi lo dice adesso al centro per l’identità di genere che la loro diagnosi di disforia è sicuramente sbagliata? E, soprattutto, riuscirà mio figlio a capirlo prima di arrivare a prendere decisioni irreparabili quali interventi chirurgici estremi?
L’approccio affermativo adottato da una decina di anni in Italia e prima in tutto il mondo è pericolosissimo; coinvolge un’intera generazione di ragazzi, molti con fragilità che vengono instradati, con la “complicità” degli psicologi e dei medici, su un percorso di medicalizzazione a vita, di mutilazione di parti sane del corpo, e condanna alla sterilità. Questo è il più grande scandalo medico della storia dell’umanità e grazie a voi spero che ci si svegli in tempo per impedirlo.
Ancora grazie, grazie, grazie per il vostro lavoro indispensabile, state ridando la speranza a tante famiglie che stanno vivendo l’inferno sulla Terra.
i genitori
La difficoltà di vivere in un corpo sbagliato
La superficialità sui ragazzi e la mancanza di una reale indagine psicologica, vengono presi e portati verso la transizione, e se in loro arrivano dubbi, il percorso viene accelerato; per noi genitori il trattamento è farci sentire omofobi, metterci in contrasto con i nostri amati figli. A me personalmente è stato detto… ” Sulla mamma c’è ancora da lavorare…”, solo perché continuo a dire che questa non è la strada di figlia, … O anche, … ” dobbiamo lavorare sulle famiglie, perché molte mettono fuori di casa i figli, che poi devono andare a dormire nei dormitori comunali”… Sveglia dottoressa! io che sono qui a ingoiare tutte le tue cattiverie, che sto accanto a mia figlia da una vita e alla sua depressione e fragilità da mesi, mi devo sentire dire che la butterei fuori di casa.
Questi centri non lavorano minimamente sul contesto famigliare ma solo sull’instaurare sensi di colpa in noi genitori, nella speranza di addomesticarci.
La mia storia l’ho brevemente raccontata su una lettera che ho inviato 10 ottobre 2023 a GenerAzioneD, vi allego il testo.
Abbiate cura dei nostri figli
Il Covid è entrato nella mia casa e più precisamente nella testa di mia figlia, cancellando i suoi sogni di feste con i compagni di classe, alterando i suoi ricordi. La scuola, dove si iscriveva a tutte le attività alternative, si era trasformata in quell’ORRORE della DAD, e, nel giro di pochissimo tempo, non era più la ragazzina piena di vita e di attività, che raggiungeva in autonomia con la sua bicicletta e senza telefonino, perché costantemente abbandonato sul suo comodino. Per quale motivo doveva averlo con sé? Noi genitori eravamo cresciuti senza essere costantemente collegati e rintracciabili, che cosa aveva lei di diverso da noi?
Mia figlia, in una limitata manciata di mesi, si è auto-reclusa nella sua stanza, costantemente collegata ad internet; lo studio, le letture, il coro, lo sport, non facevano più parte delle sue giornate. Esistevano solo internet e chat con il nuovo gruppo di coetanee, conosciute tramite un’amica di lunga data, con la quale frequentava l’unica attività fuori casa: il corso di musica.
Un corso scelto insieme per aiutarla nuovamente a uscire e rapportarsi con gli altri. Tutte queste ragazze esprimevano approcci sessuali non binari, giocavano con lei, con la sua fragilità, con il suo bisogno di far parte del gruppo; ogni tanto scartavano lei e si legavano alla sua amica, e ogni tanto il contrario. Queste dinamiche non solo hanno creato conflitto in famiglia, ma l’hanno anche allontanata dai suoi veri amici: tutti eravamo sbagliati, se solo non stavamo al suo/loro gioco.
L’adolescenza, il conflitto, l’isolamento, i ricoveri in NPI (neuro psichiatria infantile) e la costante presenza delle nuove amiche – con le quali programmava le risposte per i medici e le litigate con me – hanno portato al suo trasferimento da una zia, dove però, per ridarle autonomia, si è permesso che il controllo e la libertà non fossero più sue, ma gestite da queste ragazze, che a fine 2022 l’hanno portata nel centro per i ragazzi con disforia di genere della nostra città.
Mia figlia ha tenuto nascosto questo percorso anche alla sua psicologa, per la quale dichiara comunque e sempre molto apprezzamento.
La luce che tutti iniziavamo a vedere – anche per l’ingresso di un ragazzo nella sua vita – è scomparsa; la cupezza ha invaso tutto il suo essere, anche la cura personale a tratti era proprio assente.
Dopo un po’, queste vite sovrapposte e malamente incrociate sono esplose, e si è scoperto il doppio percorso psicologico. Si è cercato il dialogo con la psicologa del centro – il narcisismo assoluto: tanti sorrisi e poca chiarezza (anche con mia figlia) sulla non reversibilità del processo, e un marcato “TU fai quello che dico io”, dove nel “TU” ci sto io come genitore e mia figlia come utente.
Il problema di questi centri, che accompagnano i ragazzi nella transizione di genere, è che hanno un approccio unico, standardizzato e sempre uguale per tutti, nemmeno per una situazione così modificante la vita, riescono ad avere una reale attenzione per il singolo individuo. Per loro tutti i ragazzi, a prescindere dal loro stato di salute fisica e mentale, sono in grado di scegliere la cosa giusta; l’unico loro interesse è mostrarsi accoglienti per la diversità, e in particolare per chi esprime la diversità attualmente di moda. Cosa capiterà a questi individui quando non saranno più di moda?
E’ sempre e solo il corpo, il fisico sano dei nostri figli, ad essere sbagliato? Non importa che referti medici dichiarino senza dubbio che è la mente dei nostri ragazzi ad essere in crisi, ad essere patologica su certe funzioni o che siano presenti situazioni intrusive gravi. Le disfunzioni mentali non vengono mai valutate e curate. L’autodeterminazione sul proprio corpo è un valore importantissimo; ma lo è più della nostra reale capacità decisionale?
E allora perché si piange quando qualcuno decide di suicidarsi? Infondo, ha deciso lui cosa doveva essere di sé stesso. Perché ci si batte per avere centri per il recupero della tossico dipendenze? La scelta di assumere quelle sostanze non è stata fatta nel rispetto della propria autonomia? Si discute sul diritto di malati di porre fine alla propria vita, perché del loro essere hanno ormai solo i pensieri vitali; e poi si vuole con così tanta facilità creare corpi feriti, medicalizzati a vita, che non potranno mai avere relazioni di piacere fisico, che vivranno solo grazie alla loro testa. Corpi malati con solo la testa viva (e facilmente) in crisi che potremo accompagnare all’ultimo diritto sulla propria autodeterminazione?
Quello che questa civiltà sta facendo non è il sostegno della gioventù, ma una guerra a queste generazioni dove i perdenti sono i nostri figli.
Il gioco sporco sul quale puntano è la nostra impossibilità di scendere in piazza a urlare FERMATEVI! Perché come genitori che amano i propri figli vogliamo con tutte le forze, non metterli in piazza, ma tutelare la loro privacy. Urlerei “aiutate veramente questi ragazzi, non pensate solo ai vostri interessi medici o scientifici”. Siete medici, psicologi, allora parlate con i nostri figli senza diagnosi prestabilite in testa.
A me è stato detto: ” … il tutto si deciderà collegialmente…”, e poi “…non ci sono ancora stati gli incontri che abbiamo prospettato, non c’è ancora la valutazione psichiatrica, ma io le dico che la diagnosi che ho fatto io (a questo punto poteva aggiungere da sola) è corretta”.
Ma come fai ad essere così certa che sia corretta? Perché tu decidi da sola? Perché non aspetti i risultati delle consulenze che tu stessa hai chiesto? Forse temi che qualcun altro possa dirti che non è proprio corretta?
Questi ragazzi vengono spinti con discrezione ma insistenza ad entrare nel bagno del sesso per il quale chiedono la transizione; a dichiararsi (nel nostro caso) maschio con i nuovi compagni; tutta la loro precedente vita deve essere vista come un falso.
Se poi il falso fosse quello che voi con velocità e programmazione proponete, cosa ne sarà di loro? Avranno la forza di dire al mondo “Mi sono sbagliata, mi hanno confusa, rivoglio il mio corpo, rivoglio la mia vita”? Più nessuno potrà ridare loro quel corpo e quella vita. E voi a quel punto dove sarete? Chi raccoglierà il loro dolore?
Io, cari medici del centro per la transizione di genere, non ho fiducia in voi; non riesco ad averla, in particolare dopo l’incontro avuto con voi.
L’unica mia speranza è riaccendere un lumicino di dubbio in mia figlia. Solo in lei riesco ad avere fiducia, solo la sua mano terrò stretta e insieme andremo avanti.
Una mamma che, al di sopra di tutto, ama sua figlia.
Il caso di mia figlia, ormai maggiorenne
Buonasera, scrivo per ringraziare il Vostro giornale per aver recentemente pubblicato il dossier sulla disforia di genere, e per averlo fatto in maniera equilibrata, dando la parola anche ai genitori che, come me, hanno notato quanto siano affrettate le diagnosi e quanto poco spazio venga dato alla psicoterapia rispetto al trattamento ormonale e chirurgico.
Desidero portare alla vostra attenzione anche la situazione dei giovani adulti che essendo maggiorenni, sono completamente fuori dal controllo genitoriale. Per questo motivo vi racconto la storia di mia figlia, depressa e ansiosa sin dall’adolescenza, alle soglie dell’isterectomia.
Sono la mamma di A., una ragazza di 25 anni che ormai da un anno assume testosterone con l’unico sostegno medico di una endocrinologa che vede ogni tre mesi.
Il papà di A. è morto 4 mesi prima che lei nascesse ed il suo arrivo è stato per me una gioia immensa. E’ cresciuta in un ambiente colmo di attenzioni e di amore, serena e tranquilla.
Era una bambina timida e introversa, ma con un’intelligenza brillante, brava a scuola e allegra.
Durante le scuole medie è cambiata: ha cominciato a soffrire di attacchi di ansia, il suo rendimento scolastico è calato, il suo carattere si è ulteriormente chiuso, ha cominciato a soffrire di disturbi alimentari. In questo periodo comincia la frequentazione con gli psicologi, dai quali ho sempre avuto scarsissimi feed-back, a causa del fatto che A. si è sempre opposta ad ogni mio coinvolgimento.
Il tempo del liceo trascorre con grandi difficoltà, il cibo continua ad essere un problema. Si innamora di una ragazza, che dopo un paio d’anni la lascia per un ragazzo.
Trascorre il tempo chiusa in camera, a letto, con il computer acceso. Non ha amici. Le crisi di ansia si infittiscono, comincia ad assumere Lexotan a dosi sempre maggiori.
Al compimento del diciottesimo anno di età mi comunica che si sente uomo e vorrebbe intraprendere il percorso di transizione. Con l’aiuto di un’amica medico la convinco ad aspettare, la porto da uno psichiatra, ma ancora non mi viene data nessuna informazione.
Frequenta pochissime persone, tutte vicine al mondo LGTBQ.
Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di ingegneria. Si applica poco, fa qualche esame, all’ansia si aggiungono gli attacchi di panico. Frequenta una nuova ragazza, sembrano andare d’accordo; la relazione dura qualche mese e finisce improvvisamente.
Dopo qualche tempo comincia la relazione con L., un compagno di università. Lo conosciamo, vanno in vacanza insieme. Sembra stare meglio.
Decide di lasciare l’università. Si iscrive ad un istituto tecnico superiore di un’altra città e si trasferisce lì. Non la vediamo per qualche mese. Quando torna ha tagliato i capelli ed è vestita da uomo. Ha lasciato L. ed è andata a vivere con G., una ragazza conosciuta su internet.
Si diploma, trova un lavoro. La vediamo pochissimo per due anni.
Improvvisamente anche G. la lascia per fidanzarsi con un ragazzo. A. si licenzia e torna a casa. Trova un altro impiego, conosce una nuova compagna. Continua a travestirsi da uomo, ad avere disturbi alimentari, ansia e attacchi di panico.
Senza dirci niente prende contatti con un centro privato dove uno psicologo, senza valutare minimamente tutti gli altri problemi che ha e senza coinvolgere la famiglia, in tre sedute (tre di numero), le diagnostica la disforia di genere e la invia da un’endocrinologa che dopo una visita sommaria le prescrive il testosterone.
Riesco a portarla da una nota psichiatra, sperando che prenda in considerazione anche gli altri disturbi psichiatrici che ha. Hanno un colloquio di 15 minuti, mentre io aspetto fuori. Quando mi chiamano, la psichiatra mi dice testualmente “suo figlio non ha alcuna patologia psichiatrica”. In quindici minuti ha capito che mia figlia è un maschio e che non ha altri disturbi…..
Mia figlia comincia la terapia ed io mi rendo conto che è completamente disinformata sui suoi effetti collaterali, noto che i disturbi alimentari peggiorano, l’ansia e gli attacchi di panico permangono, si aggiunge una certa dose di aggressività.
Non c’è modo di parlargliene. Mi cataloga come bigotta transfobica. Purtroppo non vedo vie d’uscita, non so più come aiutarla. Tutt’ora è seguita solo dall’endocrinologa, privatamente. Non ha nessun supporto psichiatrico o psicologico. Ho da poco scoperto che le hanno proposto l’isterectomia.
La mia impressione è che mia figlia, fragile e sola, invece di ricevere l’aiuto psicologico e psichiatrico di cui necessitava, sia stata inghiottita in un vortice ideologico dal quale è molto difficile uscire.
Una mamma
Tutto è successo durante il Covid
Buonasera, sono la mamma di una ragazza autodichiaratasi trans dopo il lockdown, senza avere mai manifestato nulla prima di allora.
Superato lo shock e il dolore, le ho detto che sarei stata al suo fianco ma che prima doveva capire se era una cosa temporanea (aveva solo 15 anni) o se era davvero così e mi sono rivolta ad una psicoterapeuta del paese in cui abitiamo. Lei però ci ha detto. di non essere informata su come comportarsi e ci ha indirizzato presso una struttura specializzata.
Da lì siamo scappati subito perché anziché aiutarla ad esplorare quello che sentiva si sono proposti di accompagnarla con 6 sedute di 50 minuti verso gli ormoni.
Ho cercato informazioni su internet e le voci erano sempre e solo affermative. Ma possibile che nessuno si domandi come mai tante ragazze si siano improvvisamente sentite maschi? Che nessuno si chieda cosa c’è sotto? Sono tutte queste storie di femminicidi che le spaventano e che pensano di non correre pericoli se sono maschi? Sono preda di contagio sociale? Sono affascinate dal diverso?
Non so, ma so che lotterò al fianco di mia figlia finché non sarà sicura di ciò che davvero vuole, finché non sarà abbastanza matura da capire le conseguenze, e se lo vorrà ancora la accompagnerò nel lungo e doloroso percorso che la aspetta.
Ma non intendo permettere a nessuno di spingerla verso una strada che potrebbe non essere quella giusta e ritrovarmi poi mia figlia che mi chiede “perché me lo hai fatto fare? Ero così piccola e non sapevo quello che volevo”.
Sto scrivendo a voi per ringraziarvi di cuore di quanto state facendo sull’argomento, perché state guardando oltre, perché non vi fate fermare dall’ ideologizzazione dilagante.
E spero che continuerete a dare voce a noi genitori dilaniati da queste bombe che esplodono senza preavviso, lasciandoci ferite profonde nell’anima che non guariranno davvero mai, qualunque cosa i nostri adorati figli decideranno di fare.
Grazie e ancora grazie.
Una mamma
Il grido di una mamma disperata
Buongiorno, e grazie per avere acceso un faro su questo argomento di cui ancora si parla pochissimo ma i cui numeri stanno aumentando, e purtroppo si realizza la gravità di quanto sta succedendo solamente quando ci si sbatte il naso contro.
Sono la mamma di una ragazza di 22 anni che dal nulla qualche settimana fa mi ha comunicato che ha intenzione di fare la transizione di genere. Non ha mai manifestato prima d’ora nessun problema di disforia, né durante l’infanzia né durante l’adolescenza, che ha vissuto purtroppo come tanti in lock down confinata nella sua camera sempre attaccata ai social. Da qualche mese mi aveva detto che stava vedendo una psicologa online, solo adesso ho imparato che la psicologa è specializzata in LGBT+ e in circa una seduta al mese è già pronta ad emettere la diagnosi, a cui seguirà il percorso con l’endocrinologo e le successive operazioni chirurgiche. Ma mi chiedo io: davvero con pochi colloqui (neanche uno al mese) quello che dovrebbe essere un professionista pagato profumatamente ha già in mano tutti gli elementi per certificare che il malessere di mia figlia deriva solo dalla disforia di genere? Davvero si può intraprendere una strada così dura e irreversibile senza prima esplorare se vi sono altri traumi o sofferenze che hanno portato a questo? In queste ultime settimane ho letto molto e mi sono documentata, e ho visto che il protocollo in Italia è quello della psicologia affermativa, che afferma una diagnosi che i ragazzi si sono già fatti da soli e questo mi sembra allucinante. In più si affronta con estrema semplicità un percorso che porterà una medicalizzazione a vita e ad operazioni chirurgiche mutilanti e invalidanti. E se questa non fosse la diagnosi giusta? Se anche solo per uno su cento fosse una diagnosi sbagliata sarebbe già uno di troppo.
Una mamma disperata
Il dramma dei giovani adulti
Buongiorno, sono un genitore di GenerAzioneD.
Si parla molto di bambini e giovani adolescenti ed è una assurda realtà, purtroppo sempre più presente. Vorrei portare la Vostra attenzione anche sui giovani adulti. Ho una figlia di 27 anni, cresciuta come tante altre bambine senza manifestare problematiche particolari, ballando le sigle dei cartoni animati con le sue amiche, con i giochi delle bambine, bambole e trucchi. Unico disagio ad otto anni la separazione dei genitori.
Gli anni passano ed arriva l’adolescenza, inizia a sbocciare la sua femminilità, un tuffo al cuore, rendersi conto che la bambina sta diventando una Donna.
Sedici anni il primo ragazzo, passa il tempo e ti rendi sempre più conto che è con la persona sbagliata, una relazione da mille problemi, la vedi trasformarsi, allontanarsi dalle sue amicizie, iniziare a non curarsi più del suo aspetto, iniziare ad avere problemi alimentari ed aumentare in modo considerevole di peso fino ad arrivare all’obesità. Rendersi conto che non c’è modo di riportarla alla realtà, né con il disappunto, né con la comprensione.
Dopo dieci anni la relazione finisce, in seguito alla sua decisione di diventare un uomo. Dalle confidenze fatte alla madre sulla relazione finita arrivano le conferme di anni di violenze psicologiche, e perversioni, che la portano ad una profonda depressione e sentimenti di inadeguatezza, frequenti attacchi di panico e difficoltà nelle più semplici relazioni umane.
Il tempo sembra essersi fermato nella sua mente, il rapporto con la realtà è quello di una ragazzina adolescente e non di una giovane donna di venticinque anni.
Inizia incontri con una psicologa ma non seguendo questa il protocollo “affermativo” decide di cambiarla, per una psicologa “affermativa”.
Essendo maggiorenne ed economicamente indipendente, non ha ancora informato me o la madre della sua decisione di transizione. Finché, con un discorso preimpostato che non sembrava proprio essere suo, mia figlia spiega la sua intenzione, l’ho ascoltata con attenzione cercando di capire quale sia il suo sentire ed un dolore immenso accorgersi che nei suoi discorsi nelle sue spiegazioni non ci sia alcuna consapevolezza ma solo l’illusione che “diventando” un uomo la sua vita potrà essere felice. Un dolore immenso che mi accompagna ogni giorno, sapendo che in un momento di fragilità psicologica ha preso una decisione che la sta portando a danneggiare irrimediabilmente il suo corpo sano, una decisione verso la quale è stata accompagnata da chi conosce solo la facciata che lei si è voluta costruire e soprattutto senza indagare cosa nasconda quella facciata.
Poco più di un anno e trascorso dalla decisione di “diventare uomo” sono bastati solo sei mesi per il percorso dalla psicologa, comprensivo di visita psichiatrica in cui viene definita una “plausibile” disforia di genere, quindi visita endocrinologica ed assunzione ormoni di testosterone. Poco più di un anno è passato dalla sua decisione, dopo otto mesi di testosterone ha ottenuto il cambio dei documenti ed è lista di attesa per la mastectomia bilaterale.
Per un genitore è un’angoscia devastante continuare a pensare a cosa sta succedendo nella testa, nell’anima di tua figlia, a quanto dolore possa esserci.
Resto annichilito dalla velocità e facilità con cui le strutture sanitarie atte a “tutelare” la salute si siano mosse nei confronti di mia figlia, portandola a percorrere un percorso a senso unico esclusivamente trans affermativo, senza neanche voler provare a risolvere in altro modo il suo evidente stato di malessere dato da dieci anni di relazione “tossica”.
Non voglio escludere a priori che possa esserci la necessità di questa soluzione, ma non può e non deve essere l’unica ed esclusiva via da percorrere, neanche nel caso si tratti di giovani adulti con evidenti problemi psicologici di altra natura, che secondo il protocollo affermativo non vengono considerati.
Un padre