L’Europarlamento nella trattativa a tre coi governi e la Commissione Ue ha venduto cara la pelle, ma ha portato a casa un signor risultato: ora la “traiettoria tecnica” del consolidamento fiscale (aka austerità) per i vari Paesi si chiama “traiettoria di riferimento”. C’è voluto quasi un mese, ma sono soddisfazioni. Per il resto, al termine del cosiddetto “Trilogo” conclusosi ieri mattina, il nuovo Patto di Stabilità è quello su cui si erano accordati i governi il 21 dicembre scorso: riassumendo con le parole del Financial Times, non esattamente La Gazzetta del keynesiano, una cosa che “inaugurerà una nuova era di tagli di bilancio, nonostante le prospettive di crescita dell’Europa siano deboli” (tagliare la spesa pubblica, anche se per molti non è chiaro, ha automatici effetti recessivi sul Pil). All’Italia, secondo le simulazioni del think tank Bruegel già riportate dal Fatto, questo gioco costerà – se va bene – una correzione di bilancio media da 12,5 miliardi l’anno per sette anni: sarebbe la “traiettoria di riferimento”, già “tecnica”.
Torniamo alla notizia, partendo da un breve riassunto. Dopo chiacchiere preliminari, ad aprile 2023 la Commissione ha avanzato una sua proposta di riforma delle regole fiscali Ue. A quel punto quella barzelletta che è il processo legislativo dell’Unione prevede che il Consiglio (i governi) e l’Europarlamento lavorino su quella proposta ognuno per conto suo: quando sono pronti le mettono tutte insieme e vedono di trovare un compromesso (il Trilogo). In questo caso, però, gli eurodeputati hanno poteri legislativi solo sulle regole normali (il “braccio preventivo” del Patto), ma non su quelle che riguardano i Paesi in procedura d’infrazione (il “braccio correttivo”), su cui danno solo un parere non vincolante. A ogni buon conto, su queste materie l’Europarlamento conta talmente poco che alla fine non cambia granché: decidono i governi insieme alla Commissione, che sarebbe l’esecutivo europeo, ma funziona più come un cda.
E dire che l’Europarlamento era arrivato super battagliero al Trilogo. Commissione e governi proponevano piani di rientro da 4 e 7 anni? No, meglio da dieci e 17 anni. E gli investimenti? Scorporo di quelli strategici per l’Ue: non solo la Difesa, com’è ora e solo per tre anni, ma anche almeno le transizioni ecologica e digitale. Risultato: nessuno, se si eccettua un impegno generico a tenerli presenti e un occhio di riguardo ai programmi cofinanziati dall’Ue… Il prossimo Patto di Stabilità, pur senza gli eccessi di quello vecchio (peraltro largamente inapplicato), resta confuso (e dunque interpretabile in modo discrezionale) e soprattutto nel solco dell’austerità fiscale, recuperando pure il bric-à-brac econometrico che nello scorso decennio ha quasi ucciso mezza Europa compresa, si parva licet, l’Italia: la “traiettoria di riferimento” sarà stabilita da Bruxelles sulla base di una “analisi di sostenibilità del debito” nutrita da non sense scientifici come l’output gap, il Pil potenziale, la disoccupazione di equilibrio, l’ossessione per il surplus primario, etc etc. Senza entrare nei dettagli, sono quelle formulette che hanno avviato il continente, l’area economica più ricca al mondo, su un sentiero di bassa crescita, maggiori disuguaglianze nei e tra i Paesi, aumento dei debiti: l’Italia, che aveva sperato in maggiori resistenze dell’Europarlamento, si ritrova con un bilancio già bloccato per i prossimi anni con l’unica leva del Pnrr.
Ora parte la corsa contro il tempo per applicare le nuove regole dal 2025. Intanto bisognerà scriverle nel dettaglio, visto che gli accordi avvengono su principi generali, e poi portarle al voto del Consiglio Ue e soprattutto dell’Europarlamento: l’ultima plenaria utile prima delle elezioni europee – con tutte le incognite del caso – è quella di aprile. Anche per questo gli eurodeputati hanno ceduto subito, nonostante i proclami di guerra che a gennaio riecheggiavano quelli di un mese prima del ministro Giancarlo Giorgetti (“meglio nessun accordo che un pessimo accordo”).
E ora avremo le nuove regole fiscali, che le istituzioni comunitarie ovviamente festeggiano: l’Eurozona, se va bene, nel 2024 crescerà dell’1,2%, ma secondo Dani Stoilova, un’economista di Bnp Paribas citata dal FT, il nuovo Patto avrà un impatto recessivo dello 0,1-0,2% l’anno già nei primi due anni.