“Al fine di incentivare e sviluppare le potenzialità della filiera nazionale foresta-legno e di favorire il riposizionamento strategico delle aziende italiane rispetto alla concorrenza dei mercati esteri, anche potenziando le possibilità di approvvigionamento della materia prima, all’articolo 149…”.
Quello sopra riportato è l’incipit dell’emendamento 5.0.4 al Decreto Asset, il quale prevede che non sia più richiesta l’autorizzazione paesaggistica per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati come di interesse pubblico. Prima di questo emendamento, per effettuare tagli colturali nei boschi inclusi nell’elenco dei beni particolarmente protetti di cui all’art.136 del Codice del paesaggio (Dlgs. 42/2004) era necessario munirsi di specifico nulla osta paesaggistico; con l’emendamento il nulla osta non è più necessario, e in queste aree si possono fare interventi colturali senza alcuna specifica richiesta.
Pensare di influire sul mercato del legno e di incentivarlo togliendo il nulla osta paesaggistico ai boschi più belli e importanti d’Italia appare un’assurdità dal punto di vista ambientale, dei beni culturali e del paesaggio – anche alla luce delle recenti modifiche all’art. 9 della Costituzione – supportata da una falsa motivazione, poiché non basterebbe certo questo a rilanciare la filiera forestale nazionale e a limitare le importazioni di legname dall’estero.
In questo periodo storico le Alpi, ed in particolare il nordest, sono piene di legname a terra che aspetta solo di essere allestito e utilizzato come legname da opera, e secondariamente come legna da ardere, pellets e biomassa, e rimane invece a terra o viene portato all’estero. Come si pensa di limitare le importazioni se poi esportiamo quello che già abbiamo anziché utilizzarlo in Italia? Il problema è un altro, ed è la mancanza della filiera del legno, delle piccole ditte boschive locali e delle segherie di valle, che permetterebbero di utilizzare in Italia il legname che abbiamo già disponibile in grande quantità. Legname che va invece all’estero ed in particolare in *, dove viene lavorato per poi essere rivenduto a prezzi esorbitanti in Italia ed in altri paesi europei, con un enorme valore aggiunto che non finisce certo nelle tasche degli italiani.
La filiera del legno in Italia è stata progressivamente smantellata (a parte la Val di Fiemme, l’Alto Adige e poche altre realtà), serve ora ricostruirla incentivando le ditte boschive locali per dare contemporaneamente opportunità e lavoro alle piccole realtà montane; si continua invece a privilegiare le grandi multinazionali, che non lavorano certo con modalità attente all’ecosistema.
Tagliare di più non farebbe altro che aumentare la massa di legname che verrebbe esportata a basso prezzo, svenduta e poi ricomprata lavorata. Appare quindi incredibile togliere un vincolo paesaggistico con questa motivazione, come se tagliando di più i boschi più belli del Paese si risolvesse il problema! Un simile decreto arriva a diminuire il livello di tutela di un bene di tutti i cittadini con motivazioni inaccettabili e prive di una reale validità, tanto da far pensare che i motivi che stanno all’origine dell’emendamento siano ben altri.
Cercando di valutare nel modo meno ideologico possibile il problema possiamo ritenere inopportuno togliere la necessità di un nulla osta, e quindi di una valutazione superiore da parte dello Stato, rispetto ad interventi su beni di particolare interesse pubblico che non rappresentano solo un patrimonio economico delle singole regioni, ma un bene superiore sia dal punto di vista del paesaggio che dell’ambiente e della biodiversità. Bene di tutti i cittadini italiani.
Certo, si tratta solo di interventi colturali, ma da esperienza decennale in campo forestale posso affermare che più di una volta dietro questi tagli colturali si sono manifestati interventi ben più pesanti ed alteranti, in qualche caso anche veri e propri tagli a raso. Si deve inoltre considerare che ogni regione ha libertà di legiferare in campo di gestione forestale, e questo può portare a contemplare all’interno della categoria dei tagli colturali anche interventi più consistenti o estesi, togliendo molte delle garanzie che consentivano di mantenere integri e stabili i boschi; nella Regione Veneto, per esempio, a validare il taglio colturale comprensivo di nulla osta paesaggistico non è più il piano di assestamento forestale ma ogni singolo piano dei tagli.
Togliendo il vincolo paesaggistico si toglie l’ultima possibilità dello Stato di intervenire nella gestione delle foreste e dei boschi, lasciando tutto in mano alle regioni che con modifiche alle singole leggi potranno rendere sempre meno stringente l’obbligo di effettuare un tipo di selvicoltura naturalistica e sostenibile, per favorire invece un maggior margine di profitto dalle utilizzazioni aprendo le porte a una deregulation nella gestione dei boschi, in un momento critico della loro storia per la crisi climatica in atto ma anche per la pesante meccanizzazione del comparto forestale che rende sempre meno competitivo il modello di intervento naturalistico.
Secondo i fautori della nuova normativa questa renderà meno pesante la burocrazia prima necessaria per effettuare tagli colturali nei boschi particolarmente protetti: è certamente vero, ma sono proprio questi i popolamenti che dovremmo tagliare di più al fine di incentivare la produttività e la competitività delle nostre aziende? Il bene che viene tutelato è senz’altro superiore a questi interessi. Tutto questo è ancora più grave se si considera che in molte regioni è sempre meno presente l’azione di controllo dei boschi un tempo demandata al Corpo Forestale dello Stato, che vantava una profonda conoscenza del territorio e degli aspetti di gestione dei boschi, conoscenze che si stanno sempre più perdendo. I boschi in quest’epoca di riscaldamento globale rivestono un ruolo sempre più importante non tanto per i prodotti legnosi che forniscono ma per i servizi ecosistemici che garantiscono, dall’assorbimento della CO2 alla conservazione della biodiversità.
Un’ultima osservazione riguarda l’origine di questa normativa, che è stata voluta proprio perché lo Stato, in alcuni casi, tramite le Soprintendenze aveva negato l’autorizzazione a tagli in alcuni boschi italiani, provocando una naturale reazione d’insofferenza da parte delle regioni, come in Toscana o in Veneto. Ecco quindi l’immediata conseguenza: meglio liberarsi da questo fastidioso controllo modificando lo stesso Codice del paesaggio.
*Associazione Mountain Wilderness, già colonello del Corpo dei Carabinieri forestali