“Le proteste di questi giorni sono l’esplosione di un malcontento che covava da decenni. La rabbia degli agricoltori, che noi comprendiamo, deve però essere indirizzata verso i reali responsabili dei loro disagi: chi fa il prezzo, chi strozza le filiere e chi determina i dazi su entrate e uscite anche con accordi scellerati e rapporti economici con altri paesi extra Ue”. Così Giuseppe Romano, presidente di AIAB, Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, sulle proteste degli agricoltori che stanno infiammando l’Europa. Romano aggiunge: “Il problema, dunque, non sono tanto le politiche green dell’Europa che anzi rappresentano oggi una delle strade da seguire se si vuole salvare la produzione del futuro, ma chi in tanti anni non ha tutelato i produttori, a partire dalle organizzazioni professionali”.
Il vero colpevole è infatti una politica dei prezzi iniqua dettata da logiche di mercato a cui tutti si sono piegati e che negli ultimi decenni ha obbligato i produttori a vendere a prezzi più bassi di quelli di produzione. Una politica che spesso, in modo fuorviante, è stata chiamata “filiera” ma che di fatto strozza l’anello più debole della catena: l’agricoltore, già stritolato dalle maglie della burocrazia e oggi dell’aumento del prezzo del carburante e dell’energia.
Sul fronte invece della Politica agricola comune qualche cosa da rivedere ci sarebbe. Ad oggi la PAC rappresenta circa il 30% del bilancio comunitario, una parte decisamente rilevante delle risorse a disposizione. A beneficiarne, però, sono soprattutto le grandi aziende e non certo i piccoli produttori. “Se dopo 60 anni di politiche gli effetti sono questi, probabilmente lo strumento deve essere fortemente riformato”, dice Romano, “mettendo al centro dello sviluppo la sostenibilità, declinata in tutti i suoi aspetti, a cominciare da un maggiore sostegno al settore del biologico che rappresenta oggi l’unica certificazione valida che garantisce qualità delle materie prime e tutela del prezzo.
Un situazione complessa che si sovrappone alla grave emergenza climatica che, tra siccità, alluvioni, temperature che non seguono più il normale ciclo delle stagioni, rende quasi impossibile mantenere una produzione che resti in campo per 7-8 mesi. L’agricoltura è strettamente legata a un sistema produttivo arrivato al collasso. Basti pensare che, come sottolineato durante l’ultima Cop28, la produzione di cibo è responsabile, a livello globale, di un terzo delle emissioni che provocano il riscaldamento climatico che a sua volta genera siccità e fenomeni estremi che danneggiano i raccolti.
Le proteste dovrebbero uscire dalla limitata ottica delle rivendicazioni di categoria e spingere verso un reale cambio di passo di tutto il sistema, chiedendo all’Europa in primo luogo di premiare chi garantisce la sostenibilità certificata dei prodotti e di scoraggiare e disincentivare chi produce inquinando.
Infine, anche se scomodo, è necessario ricordare che gli stessi cittadini hanno un ruolo strategico nell’attuale situazione.
“L’agricoltura italiana – conclude Romano – va sostenuta dalla collettività, nelle piazze, certo, ma soprattutto nel carrello. Bisogna fare molta attenzione a fare la spesa oggi. Compriamo prodotti biologici che tutelano il territorio, la biodiversità, contrastano il cambiamento climatico, e cercano di garantire il giusto prezzo e quindi la dignità del settore”. L’auspicio è che da questa situazione possa derivare una reale e innovativa politica del cibo.