Chi l’avrebbe immaginato: tocca dire grazie alla mucca Ercolina. Al suo surreale scampanare sul red carpet di Sanremo, alle minacce di improbabili nuove marce su Roma a bordo di trattori e persino ai blocchi del traffico via mietitrebbia (per cui, sia detto per inciso, nessuno finora è stato denunciato: ma, si sa, gli agricoltori mica sono eco-attivisti). Ringraziamo la baraonda dell’agrobusiness perché, forse suo malgrado, pur senza visione politica a parte la protesta, il plotone disomogeneo è riuscito almeno per qualche giorno a ricordare a un’opinione pubblica distratta dell’importanza dell’Unione europea e delle scelte che in quella sede si compiono, piacciano o meno.
È a Bruxelles infatti che sempre più si stabiliscono principi, si sposano missioni, si scelgono progetti e alleanze: ed è su questi, serve ripeterlo, che è fondamentale imprimere un’idea di futuro. A tre mesi esatti da un voto per le elezioni europee che sarà determinante a trovarne auspicabilmente una nuova, siamo invece fermi alla telenovela delle giovani donne contrapposte e dei nomi in lista: si candida o non si candida? questo è il dilemma. Un po’ pochino contando che in ballo ci sono la sanità, la transizione ecologica, le disuguaglianze, un sistema fiscale che garantisca giustizia sociale e persino il concetto stesso di democrazia di fronte al dramma della guerra e alla militarizzazione arrembante del continente.
La mancanza di contenuti e di prospettive che non siano il manicheismo occidentale “buoni contro cattivi” è tale che – secondo un recente sondaggio di Eurobarometro condotto in tutti Paesi Ue – l’Italia, insieme all’Austria, è la nazione in cui maggiormente i cittadini sono scettici sui benefici che l’ingresso nella Ue ha portato: “solo” il 57% è convinto che ce ne siano stati, a fronte del 72% come media. La stessa rilevazione dice anche che, al di là di un europeismo di facciata obbligato, gli italiani – sempre insieme agli austriaci – sono la popolazione che meno crede nell’utilità dell’appartenenza all’Unione: appena il 43% della cittadinanza, quasi 20 punti sotto al sentiment del resto del continente. E non è casuale allora che l’inchiesta, condotta a ottobre scorso su un campione di circa 27 mila persone, segnali anche la richiesta di un ruolo più rilevante per il Parlamento europeo, il solo organo elettivo dell’Europa, nonché l’unico che dà piena rappresentanza alle diverse sensibilità e posizioni: lo chiede complessivamente il 53% degli intervistati, e il 50% degli italiani. Proprio l’assemblea è d’altronde l’istituzione per cui donne e uomini esprimono maggiormente fiducia: il 50% contro il 47 e il 46% accordati rispettivamente a Commissione e Banca centrale, protagonisti negli anni di scelte spesso non edificanti, per non dire discutibili.
Restituire centralità all’azione politica di eurodeputate ed eurodeputati è dunque fondamentale, attraverso una riflessione sui temi – cruciali – di cui devono farsi interpreti. Nel silenzio della maggior parte dei media, distratti da nomi e duelli, se ne incarica un libro realizzato dal Forum Disuguaglianze e Diversità: si intitola Quale Europa (Donzelli), sarà in libreria dal 29 marzo – già preordinabile – e restituisce il quadro dell’Unione in cui viviamo e delle questioni su cui può, e deve, incidere. Con scelte che sposino finalmente il concetto di democrazia partecipata. L’obiettivo è riportare l’attenzione su un concetto semplice e sempre più dimenticato: votare serve a contare, a spingere in una direzione. Per scegliere quale, prima ancora che i nomi sulla scheda, bisogna conoscere e discutere le possibilità, gli spazi aperti, le strade da seguire. Bisogna tornare a occuparsi di politica e non solo di politici.
Per il Forum Disugglianze e Diversità