Anche chi non ha letto la citatissima Arte della guerra del citatissimo Sun Tzu sa bene che creare un eccessivo allarme nel campo nemico non è mai consigliabile, soprattutto se l’avversario può sempre disporre di uomini e mezzi preponderanti. O, se si vuole, e per restare più terra terra, non è mai una buona idea svegliare il cane che dorme.
Mettiamoci ora nei panni di un ipotetico fan abruzzese di Giorgia Meloni che, dopo aver contribuito fattivamente all’ascesa dell’underdog a Palazzo Chigi, giunti in prossimità del voto regionale sonnecchia tranquillo. Non particolarmente eccitato, diciamo così, dalla competizione tra il fiammante (tricolore) paladino della destra, il presidente uscente (nonché usato sicuro), Marco Marsilio, e un signore piuttosto posato come il cattedratico Luciano D’Amico.
Cosa può succedere, però, quando una tale atmosfera soporifera (e un tantino postprandiale) viene sconvolta dall’annuncio che ben presto, impetuoso e veemente, “il vento del cambiamento” – generato e dominato dai monsoni del campo largo, anzi larghissimo, della sinistra sturm und drang – si appresta a sconvolgere le consolidate e moderate abitudini politiche delle genti abruzzesi (che affondano le loro radici, non dimentichiamolo, nel pleistocene democristiano)? Proviamo a immaginare questo elettore forte e gentile che, dall’oggi al domani, vede sfilare per le vie del borgo natio, fin qui rallegrate dalla sagra dell’arrosticino e del melograno, gli agguerriti contingenti progressisti calati da Roma che già sentono il dolce profumo della vittoria. Quasi un esercito di occupazione, guidato da una gentile ma determinata presidente sarda che agli occhi di un popolo quanto mai orgoglioso sarà stato vissuto, chissà, come una invasione di campo agropastorale.
Cosa avrà pensato questa collettività gelosa del proprio quieto vivere quando ha appreso, per voce del campo largo, anzi larghissimo, che l’Abruzzo si era trasformato nell’Ohio d’Italia, decisivo per le sorti della Nazione e della Patria? Addirittura “l’antipasto della sfida totale per l’Europa” (Il Domani)? Che il divario tra i due candidati si era ormai ridotto a una manciata di voti? Cosa è successo quando il pacioso elettore di destra, di cui sopra, si è reso conto, non senza costernazione, che la situazione si era fatta così gravida di imprevisti che l’indomita premier aveva deciso di indossare l’elmetto? Che l’elmetto lo ha indossato pure lui ed è corso al seggio elettorale.