I leader della destra italiana amano esibirsi in proclami tonitruanti ma, quando ci fosse da menar le mani, rivelano un’indole pacioccona. Basti vedere con che velocità Giorgia Meloni si è affrettata a prendere le distanze dall’ipotesi di un corpo di spedizione militare europeo a sostegno dell’Ucraina. Chi ama farsi interprete della pancia del Belpaese sa bene che questa pancia contiene anche umori maleodoranti, ma resta allergica al nazionalismo militarista. Il fascino della divisa da noi non attecchiva neanche quando indossarla era obbligatorio.
Se dunque il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, scrive ai 27 capi di governo convocati oggi a Bruxelles che “dobbiamo passare alla modalità economia di guerra”, in Italia lo si mette in sordina: son cose che si fanno ma non si dicono. Qualcuno tra i falchi della Nato ha sussurrato che ora ci vorrebbe una Pearl Harbor, cioè un attacco a sorpresa del nemico, per scuotere l’apatia del Vecchio continente e incoraggiarlo a combattere. Gli italiani, in particolare, non ne hanno nessuna voglia. E allora il governo sta attento a non contrariare l’opinione pubblica. Atlantisti, sì, ma le nostre sono sempre solo missioni difensive. Rifornire gli arsenali, sì, ma tacendo i tagli che comporta alla spesa sociale. Nonostante ciò, una destra degna di questo nome deve avere cura di non passare mai per pacifista. Se no che destra è?
Sicché la guerra, volendosi dimostrare che anche noi siamo forti e sappiamo mostrare la faccia cattiva, è meglio dichiararla ai poveracci disarmati. Come? Completando, in tempi utili per la campagna elettorale, quello che ormai si configura come il modello di società ideale della destra: noi custodi gelosi delle tradizioni nazionali, della cristianità europea e della civiltà occidentale, difenderemo questo patrimonio utilizzando le sponde meridionali del Mediterraneo come discarica indifferenziata di rifiuti umani.
“Abbiamo lanciato un nuovo modello, che ha fatto scuola, per affrontare alla radice il problema dei flussi migratori irregolari”, si è vantata domenica scorsa la premier Meloni al Cairo. Se il Mediterraneo fosse un puzzle, e non un mare impossibile da sigillare, in effetti potrebbe dire di aver infilato il pezzo mancante al posto giusto firmando un accordo di partenariato strategico col rais egiziano Al Sisi, promosso in coppia con Ursula von der Leyen e sottoscritto pure dai capi di governo di Belgio, Austria, Grecia e Cipro. Finanziamenti europei per 7,4 miliardi in tre anni, di cui il grande Paese africano dalle casse vuote ha estremo bisogno, in cambio dell’impegno alla protezione delle frontiere, all’aumento dei rimpatri e, naturalmente, alla fantomatica guerra contro i trafficanti di esseri umani. La cartina geografica può trasformarsi così in manifesto di propaganda elettorale: accordi di respingimento dei migranti più o meno simili, da sud-est a sud-ovest, sono ormai vigenti con Albania, Turchia, Egitto, Libia, Tunisia, Mauritania.
Sulla carta, operazione completata. Non fosse che dal 2008 in poi (primo memorandum italo-libico sottoscritto con Gheddafi dal governo Berlusconi di cui Meloni era ministra) il tempo si è già incaricato di dimostrare che questa esternalizzazione delle frontiere resta più simbolica che effettiva. La famosa caccia ai trafficanti su tutto il globo terracqueo l’hanno già persa Maroni, Minniti, Salvini, Lamorgese, prima di Piantedosi. Tanto che, mi verrebbe da dire, il “nuovo modello” somiglia piuttosto a una cintura di castità indossata a cingere le parti basse della vecchia prostituta Europa. Costosa, ma già rivelatasi inefficace.
Il guaio è che la disumanizzazione dei migranti e dei profughi, in tempo di guerra, rischia di produrre gravi effetti indesiderati. Acuisce le tensioni interne con i cinque milioni di cittadini stranieri che già vivono in Italia. Deve contemplare eccezioni, come avvenuto nel 2022 con gli ucraini e come speriamo non debba accadere con i palestinesi di Gaza. Non garantisce affatto la fine degli sbarchi. Disincentiva i necessari processi di integrazione. Una volta presa questa strada senza sbocchi, il modello di società perseguito dalla destra al governo non può fare a meno di costruire sempre nuove discariche in cui stipare rifiuti umani, per rassicurare i “veri italiani”.
Anche sul nostro territorio, vedi la promessa di allestire in ogni regione Centri di Permanenza e Rimpatrio per gli irregolari, anche minorenni. Il freno posto alle regolarizzazioni e alle naturalizzazioni, inoltre, finisce per innalzare il numero di stranieri sospinti alla devianza. Per loro non resta che l’ultimo girone dell’inferno: il carcere. Pazienza se ciò comporta l’aumento dei suicidi e i casi di maltrattamento. Non a caso FdI ha presentato un disegno di legge per l’abolizione del reato di tortura. Quanto si potrà andare avanti così?