C’è una contraddizione tra il dire e il fare dell’assessore all’urbanistica (pardon: “Rigenerazione urbana”) di Milano Giancarlo Tancredi e del suo sindaco Giuseppe Sala.
Il dire: Le norme urbanistiche sono “non chiare”, “contraddittorie”; dunque è necessario avere al più presto una “interpretazione univoca”, cosicché gli impiegati del Comune possano fare tranquillamente il loro lavoro, senza avere “la paura della firma”.
A dire queste cose, Tancredi è andato anche dal procuratore della Repubblica di Milano, in due (irrituali) incontri avvenuti il 16 gennaio e il 7 febbraio. La spiegazione di questo “dire” sono le inchieste – per ora una decina – aperte dalla Procura milanese per presunti abusi edilizi: grattacieli nuovi di zecca tirati su in città come fossero “ristrutturazioni” di piccoli edifici preesistenti che in realtà sono stati completamente rasi al suolo; edificazioni avviate con una semplice autocertificazione (la “Scia”), senza uno strumento urbanistico (il “piano attuativo”) che calcoli i servizi necessari per le centinaia, o addirittura migliaia, di nuovi abitanti che arrivano in zona, e quindi calcoli quanto i costruttori devono pagare al Comune per i servizi dovuti per legge ai cittadini.
Il fare: dopo che un primo giudice ha ritenuto legittime le accuse dei pm (Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano) e abusive le costruzioni realizzate secondo le “consuetudini” del nuovo Rito Ambrosiano, l’assessorato ha rapidamente cambiato linea di comportamento, dando indicazioni ai funzionari comunali di agire secondo le leggi e non più secondo il “consolidato” Rito Ambrosiano. Dunque le norme non sono così “contraddittorie”, “confuse”, “non chiare”, “bisognose di un’interpretazione univoca”. Basta rispettare le leggi e la gerachia delle fonti. Era facile.
Prima non le si rispettava, lasciando le mani libere ai costruttori che facevano quello che volevano. Ora, con il fiato delle indagini sul collo, le regole sono osservate. Dunque lo scenario non era così “contraddittorio”. Lo dimostra una delle inchieste in corso, quella sull’abbattimento, nell’aprile 2023, di una palazzina in stile Liberty tra via Crema e piazza Trento, con l’intenzione di costruirci al suo posto un edificio di sette piani. Ora veniamo a conoscenza del fatto che gli uffici comunali hanno bloccato il progetto: “La soluzione presentata era in discostamento alla norma morfologica e quindi non presentabile”, scoprono i dirigenti che fino a qualche mese fa davano permessi senza alcuna “paura della firma”.
Ora scrivono che l’intervento del fondo Kervis Sgr, prima autorizzato, è dichiarato “inammissibile”. Scoprono che mancano le “autorizzazioni alla modifica di passi carrai, androni, rampe di accesso” che “impattano sull’interesse pubblico volto a garantire il corretto passaggio della collettività e la fruibilità dello spazio pubblico da parte della cittadinanza, così come l’interesse a garantire la regolarità del traffico veicolare”; che il progetto “viola l’interesse pubblico all’ordinato e coerente sviluppo del quartiere, che vede tra le sue tappe principali la pedonalizzazione di piazza Trento e via Crema”.
Dunque, stop alla costruzione. È necessaria una valutazione urbanistica più ampia, non basta più l’autocertificazione dei costruttori. Al fondo Kervis arriva la “conferma dell’ordine motivato a non eseguire i lavori”, con “diffida dall’iniziare le opere dichiarate con la Scia”. Il Comune ora chiede di “rimodulare il progetto in senso conforme alla normativa vigente” per “non intaccare gli interessi pubblici”. Meglio tardi che mai. Non era dunque così complicato rispettare le norme. Intanto, però, tra il dire e il fare c’è di mezzo un grande cratere in via Crema. E tante torri costruite togliendo milioni di euro alla città.