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“Quando vivevo per strada ero un invisibile. Nessuno mi guardava, mi dava una mano. Adesso che sono qui sono tornato a sentirmi una persona”. Massimiliano ha 53 anni ed è uno dei 50 ospiti della Casa di accoglienza Elio Fiorucci di Milano. Un progetto nato nel 2016 grazie all’associazione City Angels. Qui i senza dimora trovano non solo un pasto caldo e un letto: “Puntiamo a farli sentire a casa”, racconta Mario Furlan, fondatore e presidente dei City Angels. Una rete di volontari che da più di trent’anni è attiva nel campo della solidarietà in oltre 20 città italiane con diversi progetti. Casa Fiorucci è uno di questi.
Il centro è sempre aperto. Sette giorni su sette, ventiquattr’ore su ventiquattro. A poca distanza da qui, si intravedono le facciate di vetro dei grattacieli di Porta Nuova. “Ci sono due Milano: quella dei ricchi e quella dei poveri, che però rimane sempre nascosta”, ragiona Massimiliano. Per un anno e mezzo ha vissuto su una panchina. Lavorava come magazziniere, poi la scoperta di una grave forma di diabete lo ha costretto a fermarsi. E da lì tutto è precipitato. “Mi sono ritrovato per strada”, ricorda l’uomo. Quando viveva su una panchina la gente gli passava davanti senza accorgersi di lui. “O meglio, faceva finta di non vedermi, perché non puoi non vedere una persona che vive per strada”. Al centro invece le persone sono tornate a chiamarlo con il suo nome. Un aspetto fondamentale che fa scattare il passaggio dal “non essere nessuno, all’essere umano”.
Oggi Casa Fiorucci accoglie una cinquantina di ospiti, tra italiani e stranieri. C’è chi lavora come rider, chi fa le pulizie negli uffici e chi lavora a chiamata per montare palchi per i grandi eventi di Milano. Contratti per meno di 6 euro lordi all’ora che non permettono di accedere al mercato della casa in questa città. La gran parte di loro ha tra i 50 e i 70 anni. “Vivono in un limbo: troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per trovare un nuovo posto di lavoro”, spiega la coordinatrice degli assistenti sociali di Casa Fiorucci, Giorgia Romanò. In tanti arrivano dalla strada. Riccardo, 68 anni, è uno di questi. “Prima dormivo vicino al Duomo, ogni giorno giravo con il sacco a pelo, la tenda, la valigia, ma era pesante. Non sai mai quello che ti può succedere di notte”. Per lui, questo centro di accoglienza “vale quanto l’oro” perché se non ci fosse, sarebbe costretto “a vivere di nuovo per strada” e qui invece ha trovato “una famiglia”.
Ogni giorno gli operatori dei City Angels forniscono assistenza legale, psicologica e medica. “Perché alcune delle persone che vivevano per strada non si sono mai curate – racconta l’infermiere Giuseppe Forzini – non hanno mai fatto controlli o avuto possibilità di accedere alle cure”. E così qui vengono indirizzati da medici di base o specialisti per iniziare il percorso di cura.
Arriva l’ora della cena. Pasta alla boscaiola, pollo, caponata, arancia e colomba pasquale. “Offriamo cibo buono e di qualità perché la dignità delle persone passa anche da questo”, ci tiene a precisare Furlan. Ogni giorno vengono serviti circa cento pasti tra pranzo e cena. Ed è proprio quest’ultimo uno dei momenti fondamentali della giornata. “A tavola ci si ritrova dopo aver passato la giornata o al centro o al lavoro – aggiunge il vicepresidente dei City Angels, Sergio Castelli – si conoscono i nuovi arrivati e si rafforzano i legami tra chi è accolto da più tempo”.
I fondi raccolti dalla Fondazione Fatto Quotidiano (DONA QUI) andranno a finanziare proprio i pasti caldi per gli ospiti della casa di accoglienza. Un gesto concreto che aiuterà “non solo i bisogni fisici degli ospiti, ma anche dell’anima”. “Questo è un posto dove le persone provano a ricostruire la propria vita”, osserva il presidente dei City Angels Furlan. L’obiettivo è tornare a vivere, a essere autonomi. Un esempio? L’anno scorso quattro di loro sono riusciti a trovare un lavoro. “Noi non siamo felici quando qualcuno arriva – aggiunge Furlan – ma siamo felici quando qualcuno se ne può andare perché vuol dire che è finalmente libero di farsi la propria vita”. Uno dei segreti è “quello di non ancorarsi alle lacrime, ma di provare a guardare avanti, sempre” come racconta Sergio, 62 anni. Il futuro? “Non lo vedo, lo immagino. Ho dei nipotini, dunque voglio pensare a un futuro migliore del presente”.
“A Milano c’è chi chi se ne fotte e chi fa del bene”, conclude Massimiliano, prima di salire ai piani alti per dormire. “Non dimenticatevi di noi, ricordatevi di chi sta dietro, in fondo alla scala”.