Lo scrittore, giornalista e drammaturgo tedesco: "Il capitalismo è il sistema più produttivo della storia, ma anche il più distruttivo perché trasforma continuamente la natura, compresi gli esseri umani, in merci sfruttabili"
“Siamo nel mezzo di una crisi di civiltà. L’attuale sistema – il più produttivo e il più distruttivo della storia – sta fallendo, ma la transizione è caotica e verso qualcosa di ancora sconosciuto”. È un attacco frontale al sistema politico e sociale attuale – definito “la megamacchina” – quello dello scrittore, giornalista e drammaturgo […]
Può spiegare, anzitutto, cos’è la “megamacchina”?
La “megamacchina” è una metafora di un sistema sociale emerso 500 anni fa e da allora ha conquistato l’intero globo. Si basa su tre pilastri: l’accumulazione infinita di capitale, lo stato militarizzato e un’ideologia missionaria che afferma che l’Occidente possiede una civiltà superiore. È il sistema più produttivo della storia mondiale e allo stesso tempo il più distruttivo, perché trasforma continuamente la natura, compresi gli esseri umani, in merci sfruttabili. Non può esistere senza una crescita eterna – che è una ricetta per il disastro su un pianeta finito. Inoltre, la competizione tra stati militarizzati ha creato le armi più distruttive della storia umana.
Lei mette in luce quanto il sistema attuale sia distruttivo, ma ricorda anche l’esistenza di alternative. Eppure, la reazione dei cittadini è soprattutto un radicale scetticismo rispetto al cambiamento, un allontanamento drastico dalla politica e dal voto. Perché secondo lei?
Gli ultimi cinquant’anni sono stati segnati da un significativo arretramento politico e sociale. All’inizio degli anni ’70 il capitalismo globale dovette affrontare tre grandi sfide: una grave crisi economica, una convergenza di movimenti sociali, ecologici e pacifisti sulla scia del 1968 e i movimenti indipendentisti del Sud del mondo. La risposta è stata ciò che a volte viene eufemisticamente chiamato neoliberalismo. Di fatto, si è trattato di un brutale assalto ai diritti sociali e ai sindacati, di una serie di colpi di stato e di guerre contro il Sud e di una campagna di lavaggio del cervello orwelliana che ci ha venduto lo smantellamento delle infrastrutture pubbliche come una liberazione personale. I cosiddetti partiti socialisti o socialdemocratici furono spesso complici di questo programma, il che ha portato a un diffuso disprezzo per i partiti in generale e soprattutto per la sinistra, sia in Italia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti o Germania.
Il sistema-mondo capitalista ebbe inizio su piccola scala nelle città-stato italiane ai tempi delle crociate. Per secoli banchieri e mercanti genovesi, fiorentini e veneziani prestarono ingenti somme di denaro ai sovrani, che acquistarono mercenari e armi per fare la guerra. Gli eserciti saccheggiarono altri paesi e una parte del bottino tornò ai banchieri come “ritorno sull’investimento”. Questo principio di accumulazione attraverso la guerra portò ad una corsa agli armamenti senza precedenti e fu anche al centro dell’espansione coloniale. Non è un caso che Colombo provenisse da Genova. Per giustificare l’estrema brutalità di questa espansione, compresa la schiavitù e una lunga lista di genocidi, era necessaria la narrazione della superiorità occidentale: noi, l’Occidente, abbiamo l’unica vera religione, gli altri sono pagani; abbiamo la civiltà, loro sono selvaggi; abbiamo il progresso, loro sono stagnanti; noi siamo sviluppati, loro sono sottosviluppati; abbiamo la democrazia, loro sono autoritari; abbiamo valori occidentali, loro sono barbari. Questa narrazione ha cambiato forma molte volte, ma il nucleo è rimasto lo stesso. Lo si può vedere, ad esempio, nelle giustificazioni della devastante guerra israeliana a Gaza.
Un falso mito che lei contesta è quello dell’opposizione tra stato e mercato, che oggi, secondo lei, si rinforzano l’uno l’altro. Perché questo è un problema?
Il capitalismo non potrebbe sopravvivere senza enormi quantità di sussidi statali. La maggior parte delle 500 aziende più grandi, che controllano i due terzi del commercio mondiale e il 40% del Pil mondiale, fallirebbero senza gli aiuti statali. Secondo il Fondo monetario internazionale, solo i combustibili fossili ricevono sovvenzioni per l’enorme somma di 5.900 miliardi di dollari all’anno. La stessa cosa vale per l’industria automobilistica, l’aviazione, il sistema bancario (che avrebbe cessato di esistere senza i salvataggi del 2008), l’agricoltura industriale e molti altri. I contribuenti stanno finanziando la distruzione dei loro mezzi di sussistenza. Gli Stati hanno inoltre creato, tollerato e sostenuto i monopoli per secoli. Guarda le aziende più redditizie oggi: Google, Meta e simili. Questi monopoli ora lavorano a stretto contatto con gli stati per creare un nuovo sistema di censura per limitare il dibattito pubblico. Lo abbiamo visto nella pandemia e nelle guerre in Ucraina e Gaza.
La megamacchina, cioè, il sistema attuale è però in crisi radicale. Espressioni di questa crisi sempre più drastica sono il covid-19 e la questione climatica ed ecologica. Eppure, mentre per il primo il sistema si è, pur momentaneamente, fermato, per la seconda, ben più grave, non è così. Come mai?
Come ha sottolineato Naomi Klein, le crisi nel sistema capitalista sono spesso sfruttate per attuare un “programma shock” che serve interessi acquisiti. Le misure adottate durante la pandemia, molte delle quali controproducenti, sono state una manna per le industrie farmaceutiche e informatiche. I miliardari della tecnologia hanno raddoppiato le loro fortune, mentre il resto di noi era in difficoltà. Nella crisi climatica, l’irrazionalità strutturale di questo sistema diventa ancora più evidente: per continuare a massimizzare i profitti di alcune industrie e dell’1% più ricco, il pianeta stesso viene sacrificato. Ma non è solo il clima: la crisi ecologica colpisce tutti i sistemi di supporto alla vita, e possiamo superare questa distruzione solo se cambiamo la logica economica sottostante.
La megamacchina è in contrasto con la democrazia. Ecco perché, secondo lei, chi ci governa ha sempre più bisogno sia di “nemici”, sia di attaccare la scienza (da Trump a Milei). Cosa potremmo fare, di fronte a questo?
In tempi di suffragio universale, il controllo dell’opinione pubblica è fondamentale per il mantenimento delle strutture di potere. Con la crescente instabilità del sistema e il malcontento del pubblico, questo controllo diventa più difficile. Le persone devono essere distratte dalle questioni sistemiche, e il modo più efficace è indicare i nemici che vengono ritratti come mostri di dimensioni eccessivi: il terrorismo islamico, il virus, Vladimir Putin, Xi Jinping, e così via. Mantenendo la società in un costante stato di ansia e di guerra, è possibile reprimere le controversie interne e legittimare le misure autoritarie. Il compito degli intellettuali in questa situazione è resistere alla logica della guerra e reindirizzare l’attenzione sulle vere cause della crisi.
In conclusione, e in generale, come organizzare una resistenza a questo sistema nonostante queste condizioni?
Siamo nel mezzo di una crisi di civiltà. L’attuale sistema sociale sta fallendo, comprese le istituzioni economiche e politiche così come le ideologie sottostanti. Siamo di fronte a una transizione caotica verso qualcosa di nuovo e sconosciuto. In questa situazione bisogna fare due cose: limitare i poteri distruttivi e creare strutture sociali che alla lunga possano sostituire quelle attuali disfunzionali. La creazione di economie regionali, che funzionano non per il profitto ma per il bene comune, e le grandi lotte per la pace, la libertà e la giustizia globale devono andare di pari passo.