In Lombardia, che pure è la regione più avanzata d’Italia, solo il 44 per cento degli edifici scolastici ha una palestra. Eppure un sacco di soldi saranno spesi per costruire impianti sportivi provvisori che saranno smontati dopo poche settimane. È una delle meraviglie delle Olimpiadi invernali 2026, vinte da Milano e Cortina. Cioè da una città dove non nevica da anni e dove non c’è neppure un palazzo del ghiaccio e da un luogo di montagna che andrebbe preservato e difeso, invece che ulteriormente aggredito.
Iconica la foto del sindaco Giuseppe Sala, pugni chiusi alzati al cielo, bocca aperta in un urlo di gioia, il 24 giugno 2019, quando furono proclamati i vincitori di una gara andata quasi deserta (un solo concorrente sconfitto, Stoccolma). Per Sala è il bis dell’Expo, un nuovo grande evento per concentrare soldi pubblici, avviare lavori e grandi opere, mettere un’altra volta in moto la macchina della comunicazione e del marketing urbano. Questa volta, Sala indossa i panni di Letizia Moratti, che da sindaco vinse Expo, e cerca invano di essere ancora quel Sala che fu chiamato a salvare l’evento in pericolo. Il pericolo c’è ancora ed è più o meno lo stesso d’allora: ritardi, dilatazione delle spese, litigi, errori di gestione, sprechi.
Sala e le Regioni Lombardia e Veneto vinsero la non proprio affollata gara per i Giochi invernali con un dossier di candidatura che prometteva Olimpiadi “sostenibili” e “interamente finanziate da capitali privati”, che sarebbero state realizzate con “una formula sostenibile e innovativa che permetterà all’Italia di essere un esempio per le prossime edizioni dei Giochi”. Il ministro Giancarlo Giorgetti aveva promesso: “Il governo non ci metterà un euro”. Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, aveva previsto: “Le nostre saranno le prime Olimpiadi risparmiose”.
Tutte balle. Le previsioni di spesa erano all’inizio di 1,5 miliardi, tutte da compensare con le entrate degli sponsor (che invece latitano) e da biglietti e merchandising (chissà). Ora sono salite a circa 4 miliardi e ad aprire i cordoni della borsa dovranno essere il governo, ma anche le Regioni e i Comuni. Dovranno essere coperti i costi (80 milioni, per ora) della pista di bob a Cortina (e gli iscritti al settore bob della Federazione Italiana Sport Invernali sono solo una quarantina: non proprio uno sport di massa). A Milano sarà montato un impianto di pattinaggio dentro la Fiera di Rho che sarà poi smontato a Giochi finiti: uno spreco assoluto. Nel quartiere Santa Giulia sarà costruito il Palaitalia, l’Arena progettata per le Olimpiadi da David Chipperfield, prima pietra nel 2023, costi stimati 180 milioni, extracosti già lievitati del 30 per cento (per ora) e il sindaco che ammette che ci vorranno soldi pubblici per aiutare l’operazione privata: “Troveremo il modo”.
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La realizzazione che procede più spedita è quella del Villaggio olimpico sull’ex scalo ferroviario di Porta Romana. Lo sta costruendo Coima di Manfredi Catella, in alleanza con Prada e Covivio (gruppo Luxottica-Del Vecchio). Se siete a Milano, andate a dare un’occhiata: palazzoni alti e incredibilmente addossati uno all’altro. Saranno poi riconvertiti in gran parte in studentati e case di edilizia sociale a prezzi agevolati, ma i costi ipotizzati all’inizio sono cresciuti e dunque Coima e Covivio chiedono aiuto al governo e al Comune. Vogliono un aiutino, soldi pubblici, magari i denari del Pnrr.
Strani liberali, curiosa concezione del libero mercato: quando i guadagni sono più del previsto è “successo d’impresa”; la volta che sono meno del previsto, si invoca l’aiuto pubblico. Ma non dovevano essere Olimpiadi “risparmiose”, “a costo zero”?