Berlinguer, ancora tu. Il Pd continua a inciampare in scandali e inchieste e il fatidico mainstream politico e mediatico rimette in mezzo, tanto per cambiare, la nota intervista di Eugenio Scalfari a Enrico Berlinguer nel 1981 (criticata da subito, all’epoca, dal migliorista Giorgio Napolitano). Il punto è che da quando è nato l’Ulivo che il richiamo berlingueriano pende sulla malattia del poterismo che ha contagiato i postcomunisti di governo. Per non parlare poi del Pd, diventato nei lustri un partitone-Stato di matrice dorotea (non proprio la fusione tra le migliori tradizioni del Pci e della Dc).
E così il risultato è che dal 1996 in poi la questione morale berlingueriana compare in quasi cinquemila articoli della stampa tradizionale. Per la precisione, 4.823. Che siano Consorte, Unipol e i furbetti del quartierini, le inchieste in Abruzzo, Calabria e Campania, le degenerazioni clientelari e affaristiche di certi governatori e sindaci (quelli chiamati cacicchi), oppure i cinesi ingaggiati per votare alle primarie di Napoli, giusto per fare degli esempi, la citazione catartica dell’intervista dell’allora segretario del Pci si è trasfigurata in un santino immancabile nei commenti e negli ipocriti autodafé della sinistra gestionista.
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Un altro classico è poi l’invocazione salvifica del codice etico del Pd. Un esempio, anche qui: fu Antonio Di Pietro a chiedere un codice etico per l’Ulivo nel 2005. Dopo quasi vent’anni siamo sempre lì e forse è giunto il momento di fare una moratoria, a proposito del Pd, di ogni riferimento alla questione morale. Ormai non serve a nulla, viste le promesse di pulizia non mantenute in questi tre decenni.
Ps. Nel Pd la gestione del potere ha generato il correntismo già scudocrociato. Schlein vorrebbe abbatterlo. Nel 1983, dopo il crollo elettorale (quello del “non moriremo democristiani” di Luigi Pintor), ci provò pure De Mita nella Dc. Perse e arrivò il Caf del tangentismo.