Netanyahu: il folle piano per abbattere così gli ayatollah

Spingere all’attacco. Obiettivo. Scontro finale e conflitto esteso

LEGGI – Netanyahu: il folle piano per abbattere così gli ayatollah Dopo aver già cacciato Israele in una condizione di isolamento internazionale mai conosciuta prima d’ora, e dopo aver costretto i suoi stessi alleati a prendere le distanze dai crimini commessi a Gaza, Netanyahu ha pensato che non gli rimanesse altro che l’arma del ricatto: […]

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Dopo aver già cacciato Israele in una condizione di isolamento internazionale mai conosciuta prima d’ora, e dopo aver costretto i suoi stessi alleati a prendere le distanze dai crimini commessi a Gaza, Netanyahu ha pensato che non gli rimanesse altro che l’arma del ricatto: spingere l’Iran allo scontro diretto, nella convinzione che a quel punto gli Stati Uniti e l’Unione europea, sia pur recalcitranti, sarebbero costretti a seguirlo nell’avventura militare. Tanto peggio tanto meglio, insomma. Allargamento del conflitto. Scontro finale con obiettivo – niente meno – l’abbattimento per via militare del regime degli ayatollah al potere dal 1979.

Bibi ci ha messo del metodo, in questa follia. L’attacco di lunedì 1 aprile al consolato iraniano di Damasco e l’omicidio mirato del generale dei pasdaran Mohammad Reza Zahedi, rappresentano un guanto di sfida che imponeva a chi l’ha ricevuto una risposta all’altezza. Soprattutto se il soggetto in questione si concepisce al tempo stesso come capofila dell’islam antioccidentale e erede del millenario impero persiano.

Ci ha messo due settimane, Teheran, prima di reagire con un’azione notturna di attacco su Israele che voleva essere al tempo stesso spettacolare ma trattenuta. Una guerra senza uomini, una pioggia di ordigni dal cielo che intendeva manifestare potenza e però anche rispettare la lontananza geografica: Teheran dista 2 mila chilometri da Tel Aviv, manca un confine diretto su cui misurarsi.

Non solo. L’abile diplomazia iraniana (è così: si può essere fanatici oscurantisti e disporre di una scuola rinomata nelle relazioni internazionali) subito dopo l’attacco coi droni e i missili ha fatto sapere, tramite l’ambasciatore all’Onu, che non vi sarebbe stato seguito, incidente chiuso, a meno che…

La palla infuocata tornava così in mano al governo israeliano. Che è spaccato al suo interno. Quando Benny Gantz, grande rivale di Netanyahu, oggi prescelto dagli Stati Uniti per rimpiazzarlo, annuncia che “costruiremo una coalizione regionale contro la minaccia dell’Iran ed esigeremo un prezzo nel modo e nel momento che ci conviene”, è evidente che prende tempo. Perché tale “coalizione regionale” non esiste e non si darà nemmeno coi paesi arabi che temono l’Iran e hanno contribuito a limitare i danni del suo attacco missilistico. Così come è chiaro che gli Usa stanno facendo di tutto per scongiurare l’escalation in cui non vogliono essere trascinati, né loro né l’Arabia Saudita e le petromonarchie del Golfo.

Allora la domanda drammatica diventa: un Netanyahu ridotto all’avventurismo dopo essersi impantanato a Gaza, potrebbe dar retta alle sirene dei partiti suprematisti e messianici che ha imbarcato nel suo governo, e prendere l’iniziativa solitaria di un bombardamento a tappeto sull’Iran? E in tal caso, gli obbedirebbe lo stato maggiore delle forze armate israeliane, presso cui il suo discredito è assoluto?

Un premier da cui i partner occidentali hanno imparato a diffidare e dal quale stanno prendendo le distanze, spinto dalla disperazione, cercherà di convincerli che sia possibile provocare un regime change in un paese di 90 milioni di abitanti. E qualcuno più fanatico di lui gli suggerisce all’orecchio che se Israele scatena l’attacco, gli alleati non potranno che sostenerlo. Poco importa se ciò alimenterà nel mondo lo stereotipo antisemita secondo cui “sono sempre gli ebrei a provocare le guerre”. L’assurdità di questa estensione del conflitto, che renderebbe ancor più fragile la condizione dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, è l’assenza di un contenzioso territoriale o di una disputa di interessi economici fra i due nemici mortali. Sembra piuttosto che l’uno abbia bisogno dell’altro, sul piano ideologico, per giustificarsi.

Hamas, che ha innescato la miccia, gongola. Il mondo trema.

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DIARIO DA TEL AVIV – “Come siamo arrivati qui? Ora risponderemo al loro attacco?”