Tempo di bilanci alla Rai, dove s’è completata la grande fuga del primo anno di gestione meloniana. In ordine alfabetico: Amadeus, Annunziata, Augias, Berlinguer, Gramellini, Fazio, Saviano.
L’ambizioso progetto della nuova “controegemonia culturale di destra” formulato in un apposito convegno di intellettuali presieduto dal ministro Sangiuliano, con tanto di omaggio tardivo a Gramsci, finora ci ha deliziato solo di una primizia: Bruno Vespa anticipato per cinque minuti all’ora di cena. Aggiungiamoci pure un Gian Marco Chiocci alla direzione del Tg1 in stile Minzolini, solo appiattito sulla Meloni anziché su Berlusconi. Ma la controegemonia culturale di destra sembrerebbe proprio finita lì, avvolta in una nebulosa tossica di censura e autocensura.
Com’è possibile? Non era cresciuta, nei duri anni dell’opposizione al regime di sinistra, un’intellighenzia giovane e anticonformista, scalpitante nella ribellione al pensiero unico dominante, che aspettava solo di essere liberata dal ghetto? A quel varco li aspettavamo, non senza timore reverenziale e una punta d’invidia. I vecchi dinosauri Rai hanno sgombrato il campo, non toccava forse a loro? Possibile che debba sempre darsi da fare solo l’immarcescibile Vespa? In effetti avevo già notato che i magnifici tre indicati da Sangiuliano come intellettuali di punta della destra (Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Giuli, Marcello Veneziani) si erano tenuti alla larga dalla “nuova” Rai, memori forse di avervi conseguito in passato risultati poco lusinghieri. Ma dietro di loro premeva una folla di aspiranti. Possibile che nessuno di loro si sia fatto notare? Temo che la risposta sia una sola: l’Italia è un Paese di smaliziati vittimisti più che di esuli in patria. Già da almeno un ventennio codesti intellettuali di destra non se la passavano affatto male. E la pinguedine non aguzza l’ingegno.