Marzo 2022. Un mese dopo l’invasione russa fu possibile l’accordo con Kiev neutrale, ma nella Ue. Bucha e il boicottaggio di Boris Johnson affossarono la pace
L’articolo è definitivo già nel titolo: “I colloqui che avrebbero potuto porre fine alla guerra in Ucraina”. La collocazione, la prestigiosa rivista di politica internazionale Foreign Affairs, fa il resto. L’ampio e dettagliato resoconto pubblicato martedì 16 aprile aiuta a capire quello che in pochi ripetono inascoltati da due anni: subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina […]
L’articolo è definitivo già nel titolo: “I colloqui che avrebbero potuto porre fine alla guerra in Ucraina”. La collocazione, la prestigiosa rivista di politica internazionale Foreign Affairs, fa il resto. L’ampio e dettagliato resoconto pubblicato martedì 16 aprile aiuta a capire quello che in pochi ripetono inascoltati da due anni: subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina si era aperta la possibilità di un accordo. Quella finestra è stata chiusa di colpo intorno al mese di maggio da diversi fattori su cui è bene continuare a confrontarsi.
“Verso la fine di marzo 2022, una serie di incontri di persona in Bielorussia e Turchia e impegni virtuali in videoconferenza avevano prodotto il cosiddetto Comunicato di Istanbul – scrive la rivista Usa – che descriveva un quadro per una soluzione”. I due autori, Samuel Charap e Sergey Radchenk, hanno esaminato “i progetti di accordi scambiati tra le due parti”, condotto interviste con diversi partecipanti ai colloqui “ai quali abbiamo concesso l’anonimato”, esaminato numerose interviste e dichiarazioni contemporanee e più recenti di funzionari ucraini e russi.
Nonostante l’obiettivo della “denazificazione” del Paese, Mosca inizia a cercare subito un compromesso. Forse capisce che la guerra non è “quel gioco da ragazzi” che ci si aspettava. Anche Zelensky, “ha espresso un interesse immediato per un incontro personale con Putin”. I colloqui iniziano il 28 febbraio “in una delle spaziose residenze di campagna di Lukashenko”. “La delegazione ucraina era guidata da Davyd Arakhamia, il leader parlamentare del partito politico di Zelensky, e comprendeva il ministro della Difesa Oleksii Reznikov, il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak e altri alti funzionari. La delegazione russa era guidata da Vladimir Medinsky, consigliere senior del presidente russo.
Dopo le prime richieste dei russi, che agli ucraini appaiono una capitolazione, e mentre la posizione dei primi sul campo peggiorava, “il 3 e il 7 marzo, le parti hanno tenuto un secondo e un terzo ciclo di colloqui, questa volta a Kamyanyuki, in Bielorussia” sempre senza esiti positivi. Il 14 marzo Zelensky pubblica un messaggio su Telegram in cui chiede “garanzie di sicurezza normali ed efficaci” e così fa il suo consigliere Podolyak.
Le delegazioni tornano a incontrarsi di persona il 29 marzo, a Istanbul, in Turchia. “Lì, sembrava che avessero raggiunto una svolta”. Esce infatti un “comunicato congiunto” i cui termini vengono descritti dai comunicati di entrambe le parti ma Foreign Affairs ottiene la bozza completa del testo: “Secondo i partecipanti da noi intervistati, gli ucraini avevano in gran parte redatto il comunicato e i russi avevano provvisoriamente accettato l’idea di utilizzarlo come quadro per un trattato”. Questo prevedrebbe che l’Ucraina sia “uno Stato permanentemente neutrale e non nucleare” rinunciando ad aderire “ad alleanze militari o di consentire basi militari o truppe straniere sul suo territorio”. Il comunicato poi elencava come possibili garanti “i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (compresa la Russia) insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia”. In caso di attacco all’Ucraina “tutti gli Stati garanti sarebbero obbligati, previa consultazione con l’Ucraina e tra di loro, a fornire assistenza”. Come nota la rivista, si tratta di obblighi “enunciati con molta maggiore precisione rispetto all’articolo 5 della Nato”. Il comunicato di Istanbul invitava poi le due parti “a cercare di risolvere pacificamente la controversia sulla Crimea nei prossimi 15 anni”. Anche questo un passaggio definito “sorprendente”. Sarebbe invece rimasto aperto: “Dopo un conflitto iniziato nel 2013” si sottolinea, “la Russia stava accettando di ‘facilitare’ la piena adesione dell’Ucraina all’Ue”. A spiegare queste disponibilità gli autori chiamano in causa il fallimento della “guerra lampo” ma anche l’ottenimento della richiesta principale, la rinuncia ucraina “alle aspirazioni Nato”.
I fatti di Bucha sono cominciati a emergere a inizio aprile: il 4 aprile, Zelensky ha visitato la città, il giorno successivo ha parlato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e ha accusato la Russia di aver perpetrato crimini di guerra paragonandola all’Isis. “Sorprendentemente, tuttavia, le due parti hanno continuato a lavorare 24 ore su 24 su un trattato” scambiandosi “attivamente le bozze tra loro”.
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In queste nuove bozze si discute di particolari, come i meccanismi di consultazione dei garanti in caso di contrasti, ma anche l’imposizione all’Ucraina di vietare “il fascismo, il nazismo, il neonazismo e il nazionalismo aggressivo”. “Pillole avvelenate” oppure espedienti per “consentire a Putin di salvare la faccia” argomenta Foreign Affairs. “Nonostante questi disaccordi sostanziali, la bozza del 15 aprile suggerisce che il trattato sarebbe stato firmato entro due settimane” lasciando a Putin e Zelensky la decisione finale sui confini. “A metà aprile 2022 eravamo molto vicini alla conclusione della guerra con un accordo di pace”, ha raccontato uno dei negoziatori ucraini, Oleksandr Chalyi, in un’apparizione pubblica nel dicembre 2023.
“Allora perché i colloqui si sono interrotti?”. La Russia ha puntato il dito contro l’intervento delle potenze occidentali, come l’improvviso viaggio dell’allora premier inglese Boris Johnson a Kiev, recante il messaggio: “Combattere la Russia finché non si otterrà la vittoria”. “La risposta occidentale a questi negoziati è stata certamente tiepida. Washington e i suoi alleati erano profondamente scettici riguardo alle prospettive del percorso diplomatico”. Si è scelto di intensificare gli aiuti militari a Kiev, si è aumentato “il tasso di aggressività” respingendo qualsiasi ipotesi di accordo.
Foreign Affairs, pur non credendo che l’Occidente abbia costretto l’Ucraina a ritirarsi scrive però che “le offerte di sostegno devono aver rafforzato la risolutezza di Zelensky, e la mancanza di entusiasmo occidentale sembra aver smorzato il suo interesse per la diplomazia”. Anche “la ritrovata fiducia degli ucraini nella possibilità di vincere la guerra ha chiaramente giocato un ruolo” pensando ad esempio che la ritirata russa da Kiev fosse un segnale di cui approfittare (mentre i russi lo presentavano come un’apertura di disponibilità). Putin, aggiungono, capiva che nel negoziato si confidava su un impegno degli Usa a garantire il futuro dell’Ucraina ancora non espresso e, più in generale, quell’accordo metteva “il carro di un ordine di sicurezza postbellico davanti al cavallo della fine della guerra” come a dire che alludeva a un ordine globale a venire, ma non ancora esigibile.
Un testo di compromesso finale non c’è mai stato e oggi potrebbe sembrare storia. Ma, conclude Foreign Affairs, aiuta a ricordare anche “che Putin e Zelensky erano disposti a prendere in considerazione compromessi straordinari per porre fine alla guerra. Quindi, se e quando Kiev e Mosca torneranno al tavolo dei negoziati, lo troveranno disseminato di idee che potrebbero rivelarsi utili per costruire una pace duratura”.
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