Non tutte le brutte notizie vengono per nuocere: qualcuna serve ad andare a votare. Prendi la bocciatura, al Parlamento europeo, dell’emendamento per l’istituzione di un’infrastruttura pubblica per la ricerca farmacologica e biomedica: una specie di Cern della Salute che avrebbe potuto recuperare la stortura palese nel rapporto tra la Ue e Big Pharma, lobby tra le più potenti al mondo.
La European Medicines Facility, così si sarebbe chiamata, è una delle proposte cruciali per garantire il diritto alla salute della cittadinanza europea, un diritto fondamentale e sempre più minacciato: non solo da possibili pandemie e dall’attuale impreparazione ad affrontarle, come testimonia l’indagine aperta sulle dinamiche non trasparenti nell’acquisto di vaccini per il Covid, ma persino dall’inevitabile scorrere del tempo. Basti dire che da ora al 2100 – racconta il libro Quale Europa (Donzelli) – gli over 65 aumenteranno di 4 milioni ogni decennio, fino a essere in tutto 130,3 milioni su una popolazione complessiva di 451. Crescerà parecchio, insomma, il numero di persone che avranno bisogno di servizi sanitari e assistenziali, mentre diminuisce la forza lavoro che con le imposte finanzia le prestazioni – già ora più di 1 euro ogni 10 dei nostri redditi è speso per la salute – e, proprio grazie allo strapotere delle lobby, aumentano i prezzi delle cure. Il Cern della Salute necessiterebbe di un investimento di 7 miliardi annui, e avrebbe come missione la ricerca e la messa in produzione di vaccini e farmaci, sottraendoli al dominio del profitto di Big Pharma, che solo dagli opachi contratti per il siero anti Covid ha incassato 100 miliardi. Cosa c’è di buono allora nel fatto che la proposta sia saltata?
Per capirlo bisogna ricostruire un po’ la storia, e guardare alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno, che troppo spesso vengono considerate più test sul governo nazionale che occasione di cambiamento. Ma così non è, ed è ora di capirlo. È stato infatti grazie a 50 europarlamentari, per lo più italiani ma non solo, che l’emendamento è stato portato al voto, dopo l’affossamento avvenuto in Commissione Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare del Parlamento europeo, con tanto di risvolti da libro giallo: il rapporto che segnala l’utilità della struttura è stato fatto sparire dal sito dell’apposita commissione, e poi ripubblicato solo dopo veementi proteste. La volontà di quei 50 parlamentari si è rafforzata al momento del voto, riuscendo a coinvolgere molti altri colleghi: il risultato ha contato 156 sì (e 98 astenuti: molti dei quali, secondo i rumor, avrebbero dovuto dire no per una miope disciplina di gruppo). Non abbastanza, evidentemente, ma la prova ennesima che l’Unione europea si trova davanti a un passaggio strettissimo: le elezioni di giugno potranno consolidare una spinta autoritaria, confermare il recinto stretto del neoliberismo o spingere la giustizia sociale e ambientale, per un’unione inclusiva e votata alla pace. A fronte di sondaggi inquietanti sull’esito elettorale, per ottenere questo terzo risultato servono deputate e deputati fortemente progressisti, come i 50 del Cern della Salute, anche appartenenti a schieramenti diversi ma ugualmente votati al cambiamento, che stringano alleanze di scopo su una varietà di questioni che incidono direttamente sulla vita di cittadine e cittadini: la salute, i diritti civili, la circolazione della conoscenza, la crisi ambientale e, non ultimo, l’ancoraggio alla pace. Sono questi i temi su cui si gioca il nostro futuro: è doveroso che lo sappia chi vota, ed è fondamentale che chi chiede il voto sia pronto a darsi realmente da fare nella più importante istituzione comunitaria che abbiamo.
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