I CSI sono stati una delle meraviglie più accecanti, originali, irresistibili e irripetibili degli anni 90. Un gruppo generatosi dalle ceneri dei CCCP, con i due elementi chiave (Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni) che si contaminarono con tre ex Litfiba (Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli e Giorgio Canali, già presenti nell’ultimo album dei CCCP). I CSI nacquero quasi a loro insaputa, con il concerto-evento Maciste contro tutti, realizzato a Prato nel settembre 1992 insieme a Üstmamò e Disciplinatha. Poi, poco più di un anno dopo, arrivò il primo album, straordinario come tutti quelli che sarebbero poi usciti a firma CSI: Ko de mondo. Proprio con la scusa del trentennale di quel disco, esce oggi CSI – È stato un tempo il mondo, scritto da Donato Zoppo ed edito da Aliberti.
Il libro ha un grande pregio: contiene i virgolettati inediti di chi quel disco lo ha immaginato, scritto, suonato, fotografato, prodotto ed eternato. Capolavoro a tutt’oggi deflagrante, Ko de mondo si rivelò uno degli apici del 1994. I Novanta furono un decennio d’oro, probabilmente l’ultimo, per la musica. Quell’anno, al Premio Tenco, i CSI – gruppo talentuosissimo, ma pur sempre “di nicchia” – arrivarono quarti dietro Guccini (Parnassius Guccinii), Jovanotti (Lorenzo 1994) e Battiato (Caffè de la paix). Un livello qualitativo oggi impensabile.
Ko de mondo nacque tra agosto e settembre del 1993, nel manoir Le Prajou di Finistère in Bretagna, anche se il titolo rimanda al nome di una frazione di Reggio Emilia (Codemondo). Nulla sarebbe accaduto se Stefano Senardi, produttore discografico innamorato e illuminato, non avesse avallato una richiesta sulla carta scriteriata e riassumibile più o meno così: “Pagateci 40 giorni in Francia per fare un disco, anche se al momento non abbiamo scritto niente e magari dopo una settimana ci manderemo affanculo”. Senardi fiutò il prodigio e accettò, come quei produttori cinematografici che dieci anni prima avevano pagato a scatola chiusa Troisi e Benigni per andare a zonzo su e giù per l’Italia, con la vaga promessa di scrivere un film su “due personaggi che si perdono nel tempo”. A Ko de mondo parteciparono i cinque CSI propriamente detti, con il chitarrista di Predappio Canali a far da mediatore anomalo e incazzoso tra i due ex CCCP reggiani e i due ex Litfiba fiorentini. C’erano poi un batterista (Gulli), un percussionista (Gerby), la Corale Mistica dell’Appennino Tosco-Emiliano, Marco Parente in un brano e – qui marginalmente, dal disco successivo preponderante – la voce ontologicamente divina di Ginevra Di Marco. Era vero che prima di andare in Bretagna non avevano scritto (quasi) niente, ma l’alchimia era giusta, il tasso di genio fuori scala e il contesto storico-geografico perfetto per assecondare l’epifania. Il disco uscì nel gennaio del 1994; copertina bianco-ieratica, dodici tracce di cui almeno sette da consegnare agli annali. Fu un portento, come pure i due live successivi (il quasi acustico In quiete, il fenogliano La terra, la guerra, una questione privata) e gli album di là da venire Linea gotica e Tabula rasa elettrificata (che carambolò pure al primo posto in classifica).
Se i CCCP furono (e sono, vista la fortunata reunion) teatralità barbarico-futurista, i CSI assursero a perfezione musicale anomala e spietata (a volte così perfetta da stare pure un po’ sui coglioni a Ferretti, uno che se tutto va bene deve trovare subito il modo di complicarsi meravigliosamente la vita). I CCCP sono entrati nella Storia, i CSI hanno reinventato la musica. Una supernova durata dieci anni, che ha lasciato sul selciato almeno venti tracce scortecciate così bene da trafiggerti per sempre il cuore. I testi (e la voce: quella voce) di Ferretti, la continua sfida tra le chitarre opposte del garbato-compassato (ma lucido e decisionista oltremodo) Zamboni e del nevrile Canali, il basso implacabile (e la supervisione meticolosissima) di Maroccolo, il contrappunto “magnellophonico” (poetico e marziale) delle tastiere di Magnelli, la voce da sirena aliena di Ginevra: non esisterà mai più un gruppo italiano così atipico, inspiegabile e micidiale.
Il libro di Zoppo contiene virgolettati così belli che, a ben pensarci, sarebbero bastati loro per creare un bel libro. Sono le interviste ai protagonisti la vera forza del volume: il racconto di Ferretti sulla genesi di una canzone devastante come Memorie di una testa tagliata vale (da solo) tutto il libro. Ogni virgolettato che spiega la nascita dei brani (quasi sempre figli di una sorta di “caos controllato” derivante dalla netta diversità di stili e visioni tra i membri della band), sono un incanto: A tratti, Palpitazione tenue, Occidente, Del mondo, Fuochi nella notte: quanta bellezza, mamma mia.