Quando Luigi de Magistris in tv su Re-Start a Rai3 tira fuori la Nakba (l’esodo forzato dei palestinesi nel 1948) e Aldo Cazzullo parla del Gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini (alleato di Hitler nel 1943) si capisce che hanno vinto loro. Il talk è la prova che la questione israelo-palestinese ha oscurato il fascismo e l’antifascismo. Il centenario di Matteotti e il discorso censurato di Scurati sono in secondo piano.
In piazza a Roma c’erano da un lato giovani di sinistra che cantavano “Ve ne annate o no” all’indirizzo non dei fascisti ma dei ‘sionisti’ della ‘Brigata ebraica’. Dall’altra, gli ebrei romani, alcuni con atteggiamenti da ultras, li invitavano ad avvicinarsi: “Viè quaaaaa!’ Ve fate difende da quelli che avete menato, M..deee!”. In tv un’inviata della Rai a Re-Start osava parlare di “carica della Brigata ebraica” (effettivamente un eccesso verbale) e in diretta l’ex presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, con il tono del capo, la bacchettava. La conduttrice Annalisa Bruchi gli dava ragione e concedeva un collegamento riparatore. Così Pacifici spiegava perché il popolo palestinese, “se vogliamo così definirlo”, non avrebbe legittimazione a stare in piazza il 25 aprile per via della storia del Gran Muftì filonazista, già trattata da Aldo Cazzullo in trasmissione nemmeno fosse il tema centrale della Liberazione. A questo punto De Magistris, giustamente, interveniva per difendere il diritto dei palestinesi a essere un popolo ricordando la Nakba.
Benvenuti alla Festa della Liberazione a Roma. Si è visto di tutto. Sono state lanciate da mani ignote quattro bombe carta contro i filo-palestinesi, una delle quali è caduta dentro lo zaino di un ragazzo che non si è ustionato perché ha avuto la prontezza di gettarlo in terra. E un seguace della Brigata è arrivato ad augurare lo stupro alle donne con la kefiah come alle vittime del 7 ottobre.
La questione israelo-palestinese è un tema importante, intendiamoci. Il punto è che non c’entra nulla con la nostra Liberazione. Parliamone tutto l’anno, ovunque, difendendo i diritti umani e la pace. Non a Porta San Paolo il 25 aprile. Qui sono opportuni cartelli che ricordino Giacomo Matteotti nel centenario della morte non gli slogan antisionisti o le foto del Gran Mufti con Hitler. Chi porta in piazza la bandiera ucraina, israeliana o palestinese può farlo come un ospite rispettoso del “padrone di casa” che è l’antifascismo. Anche perché quelle bandiere, ieri o oggi, hanno mostrato talvolta di non avere tutte le carte in regola per sfilare accanto ai partigiani. Michele Serra a Milano deve aver visto una scena simile. Su Repubblica ha scritto: “Il 25 aprile è di quella grossa fetta di milanesi che vogliono festeggiare la sconfitta del nazifascismo e la nascita della democrazia italiana (…) solo che quando i centomila sono arrivati in piazza, nella loro piazza, hanno dovuto sistemarsi tutto attorno all’insediamento precedente, gremito di bandiere palestinesi e, non si capisce perché, del tutto avulso dal contesto che lo circondava”.
In tv come in piazza la storia è stata usata come un manganello per escludere i rivali.
Sul punto però è bene chiarirsi: i componenti della Brigata ebraica, se fossero vivi, avrebbero più titolo storico dei palestinesi a stare in piazza. Perché 5 mila volontari hanno combattuto il nazifascismo e 51 sono morti sul fronte italiano. Ci sono stati volontari palestinesi islamici che hanno combattuto anche con gli inglesi però è indubbio che il Gran Mufti di Gerusalemme stava con i nazisti. Tutto ciò però non autorizza a fare insultare le filo-palestinesi del 2024. Gli ebrei romani hanno tutto il diritto a stare in piazza il 25 aprile in rappresentanza dei loro avi morti sulla linea gotica. Non possono pretendere di sfilare in difesa di uno Stato che ha ucciso, dopo il pogrom infame del 7 ottobre, migliaia di bambini. Se non altro perché nessuno sa cosa ne direbbero oggi gli ebrei partigiani.