L’inchiesta

Sgarbi: le chat lo inchiodano al quadro esportato

Opera in fuga - Chiusa l’indagine a Imperia Della tela di De Boulogne portata illecitamente nel Principato di Monaco e nascosta in un furgone, il politico sapeva tutto

12 Maggio 2024

È una fresca mattina di fine febbraio del 2020, un furgone si arrampica sui ripidi tornanti della strada che da Ventimiglia porta a Montecarlo facendo tutta la costa della montagna, la stessa dove Grace Kelly precipitò per 40 metri. Chi lo guida lo sa perfettamente, l’ha scelta apposta, dovendo gestire “un trasporto top secret”: nel retro del furgone ci sono mobili e scatole ma al centro – coperto da uno strato di gommapiuma, due di pluriball e una velina – c’è un capolavoro del ‘600 che vale 5,5 milioni di euro. E nessuna autorizzazione a esportarlo.

La compagna di Vittorio Sgarbi Sabrina Colle però l’ha detto più volte: speriamo si riesca a venderlo altrimenti “è una rovina”. L’aveva pure scritto all’amico e impresario d’arte Gianni Filippini e – sentito Sgarbi – erano partite vorticose trattative sul prezzo: da 5,5 a 4 milioni, ma anche 1,2, secondo i diversi canali di vendita tentati, tra banche svizzere e facoltosi collezionisti sparsi tra Europa, Africa e Stati Uniti. Ecco le chat che incastrano Sgarbi&c.

Lui, la compagna Colle e l’impresario sono tutti imputati nell’indagine per esportazione illecita del dipinto Concerto con Bevitore attribuito al caravaggesco Valentin de Boulogne sequestrato l’11 giugno 2021 nel Principato di Monaco. L’inchiesta era partita nel 2019 da Siracusa ed era stata trasferita a Imperia nel 2021. Quella giornalistica condotta dal Fatto con Report ha poi fornito contributi decisivi al suo sviluppo, tanto che ora corre spedita verso la richiesta di processo. Entro maggio dovrebbe concludersi anche quella avviata dalla Procura di Macerata per riciclaggio di opere d’arte legata al famoso “Manetti” con la candela, il dipinto che si sospetta rubato al Castello di Buriasco nel 2013, terzo filone dell’inchiesta giornalista.

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Il sottosegretario che si è dimesso a causa delle incompatibilità – ma avendo già in tasca la candidatura a Bruxelles – così poco se ne cura da aver scelto come “mandatario elettorale” proprio Sabrina Colle, coimputata in due delle tre indagini a carico, contando quella per evasione fiscale alla Procura di Roma. In Italia il problema sono sempre stati i candidati “impresentabili”, con la coppia Sgarbi-Colle pure i garanti dei candidati lo diventano.

Gli elementi a loro carico raccolti a Imperia, ora a disposizione delle parti, sembrano piuttosto pesanti. La relazione tecnico scientifica dell’Istituto Italiano del Restauro smonta la versione del critico secondo cui il dipinto sequestrato era “solo una replica fatta da un pittore italiano nel 1980”, come ha più volte ripetuto. Una “copia recente” e così brutta da non meritare neppure una sua expertise, che invece esisteva eccome. Le analisi a raggi x, spettrometria fluorescente, radiografia etc del perito hanno permesso però di accertare che quel dipinto è del ‘600. E la sua conclusione è che potrebbe essere davvero l’originale del caravaggesco francese (vedi a fianco). Sgarbi ha poi sostenuto che l’opera incriminata non fosse di sua proprietà, a costo di accollarla a un morto, sostenendo fosse dell’editore d’arte e organizzatore di mostre reggino Augusto Tota, venendo subito smentito dalla figlia di lui (“è una vera infamia, è morto un anno fa e non può difendersi”). Anche questo tassello finisce in pezzi sotto il peso degli elementi raccolti dal Nucleo Tutela Patrimonio di Roma.

Decisiva è la testimonianza resa da Mirella Setzu, gallerista cagliaritana che si era impegnata a garantire la collocazione del dipinto sul mercato internazionale esponendola alla fiera d’arte di Maastricht che si sarebbe svolta a marzo 2020. La sua posizione è stata stralciata, avendo fornito contributi essenziali a ricostruire la vicenda. A contattarla, racconta, era stato l’impresario Gianni Filippini dicendole che Sgarbi poteva presentare alla fiera due o tre opere di sua proprietà per la vendita. Il racconto trova riscontri puntuali nei messaggi che Filippini nel frattempo scambia con la Colle, la compagna di Sgarbi che ora certifica per lui le spese elettorali. “Sabrina, posso aiutarti a fare cassa con due banche estere. Potreste vendere qualche opera della vostra collezione”, dietro “equa commissione”. E ancora: “Ciao Sabrina hai parlato con Vittorio? Devo sapere cosa avete deciso, e poi vi spiegherò le condizioni”. La risposta sarà: “Ho parlato con Vittorio, mi ha detto: proponi il Perugino e il Valentin de Boulogne alla banca”.

Le chat consentono anche di ricostruire il rocambolesco viaggio per portare l’opera all’estero senza permessi. Filippini indica alla Setzu una persona di fiducia per il trasporto, a carico della società intermediaria Switzerlart. Sabrina Colle si fa avanti: “Si Gianni, devo chiamarti perché io ho una società”. Si tratta di quella Hestia Srl con cui fatturava per Sgarbi comparsate e presentazioni a pagamento poi giudicate incompatibili da Agcm. Viene anche predisposto un contratto, ma alla fine non sarà sottoscritto dalla controparte svizzera proprio per la mancanza di documentazione che attesti l’esportazione legale dell’opera.

I due incaricati del trasferimento ricevono precise istruzioni e riferiscono ogni fase della missione. Dai messaggi si evince la consapevolezza di quanto fosse delicato il carico. Prima di partire, il trasportatore monta sul furgone “mobili, scatole e cazzate”. Il 25 febbraio 2020 l’opera, 97 cm per 133, viene prelevata presso la casa del critico per essere portata l’indomani a destinazione, impacchettata secondo le indicazioni di Filippini. A consegnarla è Alessandro Bertazzini (non indagato), il tenutario della collezione Cavallini-Sgarbi. In serata i due fanno sosta a Ventimiglia, presso l’hotel Villa Eva. Il Valentin ha dormito benissimo e sta bene, assicura lei. Spiega che con l’autista si sono accordati di usare la strada che collega La Turbie a Monaco dove “non sono previsti controlli”. Sono stati fermati a Menton ma… “qualche minuto di chiacchiere… e ce la siamo cavata”. “Perfetto”, la risposta di Filippini.

Nel viaggio si ragiona dei pochi soldi pattuiti rispetto al valore della merce e dei relativi rischi. Il 2% di 5,5 milioni fa 110mila euro, il 3% 165mila, è il “pensiero della sera”. Il compenso gira invece attorno a 3mila euro “cash”. La signora Setzu pretende la fattura, ma da Sgarbi&c non è arriva un bel nulla, tanto che la garante lamenta di aver anticipato di tasca propria 300euro di spese. L’opera viene consegnata a Montecarlo la mattina del 26 febbraio con una “simil bolla” di accompagnamento ma senza un certificato dell’Ufficio Esportazioni del Mic: l’ulteriore elemento che prova l’esportazione illecita. Il 24 febbraio 2021 la Setzu riceverà dalla segreteria dell’allora deputato “un expertise a firma di Sgarbi” che confermava l’attribuzione al De Boulogne.

Dopo la consegna, la signora mantiene i contatti con la Colle che le rappresenta la necessità di venderla perché Sgarbi aveva delle “situazioni da definire”. La richiesta di vendita della proprietà era di circa 1.200.000, spiega la donna. Meno dei 5,5 iniziali, ma ben più dei 10mila euro con cui risulta fosse stato acquistato nel 2014, tramite un autista di Sgarbi, a una famiglia bergamasca in difficoltà ignara del tesoro appeso nel salotto. Le cose da “definire” potevano essere debiti da ripianare.

Vero è che in quelle settimane Sgarbi&c sondano tutta una serie di operazioni di cui il Valentin è il pezzo forte, ma non l’unico. I messaggi si rincorrono a metà febbraio 2020. Filippini: “Sabrina, forse ho una persona che potrebbe acquistare il Valentin. È un miliardario sudafricano che si chiama Dick Enthoven. Gli chiedo 2,5 milioni trattabili. Che dici? Chiedilo a Vittorio”. In un messaggio del 4 maggio rilancia: ”Ciao Sabrina hai novità per il Valentin? Con Mirella ti stai sentendo? Invia un contratto per certificare che l’opera è in deposito e la proprietà è tua”. Spiega poi di aver inoltrato la scheda del dipinto a una società d’investimenti a New York per sondarne l’interesse all’acquisto. Viene anche ventilata un’operazione più ardita. Un modo per mettere a frutto opere del valore di 18 milioni di euro da utilizzare come “collaterali per fare cassa” o per costituire un fondo, vendendo in modo parcellizzato le azioni e generando così un “rendimento mensile”. L’operazione salta perché Sgarbi ha paura a spostare le opere. Laconico il commento della Colle: “Speriamo si riesca a vendere il quadro altrimenti è una rovina”.

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