INCHIESTA TOTI, RIAPRE IL CONSIGLIO LIGURE TRA BAGARRE E “ASSOLUZIONI”. LE OPPOSIZIONI: “IL GOVERNATORE SI DIMETTA”. Il consiglio della Regione Liguria si è riunito per la prima volta dall’arresto di Giovanni Toti. Martedì scorso il governatore (indagato per corruzione) è stato condotto ai domiciliari, con la sospensione da ogni incarico pubblico in virtù della legge Severino. Al suo posto, come presidente pro tempore, è salito Alessandro Piana (il vice di Toti). Oggi, nell’aula del Consiglio, il leghista ha tracciato la strada: “È giusto non dimettersi, anzi è giusto non scappare, per portare avanti tutto quello che c’è da fare”. Insomma, avanti con le grandi opere in Liguria, malgrado il malaffare scoperchiato dalle inchieste della procura genovese. Le opposizioni chiedono le dimissioni a gran voce. In Aula sono intervenuti anche Stefano Anzalone e Domenico Cianci, i due consiglieri della lista Toti indagati per corruzione elettorale con aggravante mafiosa: secondo l’accusa, avrebbero incassato i voti della comunità genovese dei riesini, capeggiata da personaggi legati al clan mafioso Cammarata, di Caltanissetta. Anzalone e Cianci hanno ribadito la loro innocenza, denunciando – come da prassi – la gogna mediatica dei giornalisti. Durante l’intervento del consigliere FdI, Stefano Balleari, è scattata la protesta di un gruppo di cittadini, con il coro “buffoni, buffoni”. Intanto, il legale di Toti – Stefano Savi – ha richiesto l’interrogatorio per il governatore: già la prossima settimana potrebbe essere sentito in tribunale. Secondo l’avvocato, Toti starebbe leggendo le carte per prepararsi all’incontro con i magistrati. Solo dopo l’interrogatorio, valuterà le dimissioni e il ricorso al tribunale del riesame contro la detenzione domiciliare. Intanto, la procura di Genova ha aperto un fascicolo per rivelazione di segreto d’ufficio. Dagli atti, risulta come i due fratelli Arturo Angelo e Italo Maurizio Testa fossero stati avvisati delle indagini in corso. Sul Fatto di domani, nuove rivelazioni sul caso Toti.
DIGA DI GENOVA, IL PRESIDENTE ANAC BUSIA: “RISCHIO AUMENTO DEI COSTI”. SALVINI: “SARÒ ALL’INAUGURAZIONE, AVANTI CON LE GRANDI OPERE”. “La Diga? È sostanzialmente per Spinelli”. L’ammissione è di Giovanni Toti, colta dagli inquirenti in ascolto. Il presidente ligure parlava (intercettato) con l’ex presidente del porto di Genova, Paolo Emilio Signorini (ora in carcere). Il tema è la diga foranea di Genova, l’opera più importante del Pnrr. Il principale beneficiario, dunque, secondo il duo sarebbe Aldo Spinelli (detenuto ai domiciliari). L’opera consentirebbe l’accesso al porto delle navi di grandissime dimensioni. I lavori sono affidati senza gara al gigante WeBuild di Pietro Salini. Dovevano avanzare fino al 12% del completamento entro la fine del 2023, invece sono fermi al 2,5%. Il costo era stimato in 300 milioni ma è lievitato fino a 1,3 miliardi. Non stupisce il faro acceso dall’Anac: l’autorità anticorruzione a marzo scorso ha pubblicato un documento denunciando scarsa trasparenza e l’esplosione dei costi; poi ha consegnato le carte alla procura di Genova e a quella europea. Oggi il presidente Anac Giuseppe Busia ha presentato la relazione annuale sull’attività dell’Autorità. Un passaggio è dedicato alla diga di Genova, con un nuovo allarme sull’aumento della spesa pubblica. Intanto, la Lega si sgola per salvare le grandi opere, non solo in Liguria. “Verrò a inaugurare la posa in acqua del primo cassone della diga di Genova – ha dichiarato Salvini – Spero che nessuno usi le inchieste per bloccare lo sviluppo del Paese, da Nord a Sud”. Il Capitano pensa anche al Ponte di Messina. Vorrebbe replicare il modello Genova: affidamento diretto, senza gara, al consorzio Eurolink capeggiato sempre da WeBuild. Sul Fatto di domani vi racconteremo nuovi retroscena sulla grande opera.
GUERRA RUSSIA-UCRAINA, KIEV CHIEDE I PATRIOT PER DIFENDERE KHARKIV. BUDANOV, IL CAPO DEGLI 007: “SITUAZIONE DISPERATA”. Il segretario di Stato Usa, Blinken, arriva a sorpresa a Kiev, e il presidente Zelensky ne approfitta per sollecitare la consegna dei missili difensivi Patriot così da contenere i massicci bombardamenti russi su Kharkiv. Oggi è stato colpito, secondo fonti ucraine, anche un grattacielo in centro mentre il capo dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, al New York Times dichiara: “La situazione è al limite”. Blinken concorda ma assicura che le forniture belliche sono in arrivo e “faranno la differenza”. Intanto le forze armate russe continuano ad avanzare verso Kharkiv, nell’Ucraina nordorientale; secondo gli analisti dell’Institute for the Study of War, Mosca ha come obiettivo quello di costruire in tempi rapidi una zona cuscinetto. L’offensiva contro la seconda città ucraina è stata lanciata lo scorso 10 maggio. Dalle immagini satellitari pubblicate dall’Isw, si vede che le forze russe sono entrate a Hlyboke, circa 30 chilometri a nord di Kharkiv e in altri villaggi. Sul piano diplomatico, non vi sono novità: il Cremlino ritiene inutile la prossima conferenza per la pace in programma a giugno, in Svizzera. Putin invece andrà in Cina: Pechino, il suo principale alleato, ha confermato la visita che si terrà il 16 e 17 maggio. Sul Fatto di domani troverete altre notizie e un punto sul tema delle armi, sia rispetto alle decisioni politiche dell’Italia, che sul piano industriale: come la Russia, ormai anche l’Europa si avvia a incrementare il settore bellico.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Guerra Israele-Hamas: Rafah, si muovono i tank. A Gaza non passano gli aiuti umanitari. Nella Striscia di Gaza l’operazione militare israeliana a Rafah è in atto: secondo alcune testimonianze, i carri armati si sono ormai piazzati in punti-chiave, compreso il distretto di al-Janina. Aumenta l’apprensione per la sorte dei civili, ammassati in quell’area: gli Stati Uniti accusano il premier Netanyahu di non avere un piano per tutelare i gazawi. La sospensione degli aiuti umanitari entra nella seconda settimana, dopo la chiusura totale da parte dello Stato ebraico dei valichi di Rafah, Keram Abu Salem e Al-Awja. La denuncia arrriva da fonti egiziane e dal Qatar. Sul giornale di domani leggerete anche a che punto sono le proteste pro-Palestina nelle università italiane.
Superbonus, il blitz meloniano in commissione: il parlamentare in più per disinnescare Forza Italia. Il senatore Salvatore Sallemi (Fdi) viene trasferito dalla commissione Giustizia a quella Finanze, per evitare che il voto degli azzurri mandi il governo in minoranza. Sul tavolo c’è il decreto Superbonus, con l’obbligo di spalmare su 10 anni (invece di 4) i crediti fiscali maturati con l’incentivo del 110% sui lavori edilizi per l’efficientamento energetico. I subemendamenti presentati da Forza Italia puntano ad abolire la retroattività del provvedimento, ma Giorgetti non è d’accordo. Le opposizioni hanno protestato, perché l’aggiunta di un nuovo senatore in Commissione richiederebbe una comunicazione a Palazzo Madama. “È l’ultimo passaggio di una gestione folle”, ha denunciato Patuanelli (M5s). Per il capogruppo dem Francesco Boccia, “stiamo assistendo alle prove tecniche di premierato”.
Virginia Raggi rinviata a giudizio per calunnia. L’ex sindaca di Roma andrà a processo, per via delle sue affermazioni sull’ex amministratore delegato di Ama, Lorenzo Bagnacani. La genesi della vicenda è legata al bilancio dell’Ama: soprattutto, al contestato credito – 18 milioni di euro – vantato dalla municipalizzata dei rifiuti nei confronti del comune. Per Bagnacani, senza quel credito l’azienda rischiava il crack. Secondo Raggi, invece, l’amministratore delegato (con l’assessora all’ambiente Pinuccia Montanari) avrebbe “forzato e minacciato, dicendo che se non avessi approvato il bilancio come volevano loro, riconoscendo i crediti, io sarei stata responsabile del fallimento dell’azienda”.
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Crisi ambientale, l’economista Mastini: “Le rinnovabili non bastano. L’unica soluzione è la decrescita”
di Elisabetta Ambrosi
Crescere sempre più senza devastare l’ambiente? Impossibile: anche se aumenta l’efficienza, questa può persino produrre un consumo di energia maggiore. Le rinnovabili? Non risolvono il problema se vanno solo a coprire un aumento generale dell’energia. E con una economia in continua espansione, non ci salverà neanche l’economia circolare. Ecco perché, secondo Riccardo Mastini, ricercatore in Economia ecologica al Politecnico di Milano, la soluzione è un’altra. Cioè la decrescita, che non è recessione ma “una riduzione pianificata del consumo di energia e risorse naturali”. Accompagnata, anche, dalla tassazione di chi inquina di più: ovvero, al di là delle ideologie, di chi detiene grandi patrimoni.