Luigi de Magistris esordisce a teatro con Istigazione a sognare.
Vorrei che questo spettacolo fosse la traduzione della mia vita nelle istituzioni. Il messaggio di fondo – il sogno – è realizzare l’articolo 3 della Costituzione: la rimozione degli ostacoli verso la libertà e l’uguaglianza. Per farlo, serve che ognuno sia protagonista determinante, non indifferente, del cambiamento nella società.
Sul palco porta in scena la sua vita: gli anni della magistratura e poi Napoli.
La prima parte è quasi un thriller che culmina nel racconto di un momento drammatico nei rapporti tra la magistratura e il potere. Da pm ho conosciuto un sistema criminale che è arrivato fino al cuore dello Stato. Non sono mele marce: è un frutteto contaminato. Poi c’è la storia romantica dell’esperienza da sindaco di Napoli, dove abbiamo dimostrato che ci può essere una politica altra, che governa una città difficile con le mani pulite. Da 10 anni Napoli è la prima città italiana per crescita turistica e culturale.
E il futuro?
La terza parte è appunto l’istigazione a sognare: indicare la strada per una riscossa civica.
Giù dal palco, piuttosto, assistiamo a una fase di depressione collettiva.
La rassegnazione è forte. Dopo il Covid è iniziato un periodo di sbandamento emotivo e psicologico. Ma io credo nei giovani, lo dico per esperienza diretta: senza i ragazzi non avrei vinto due elezioni e non avrei governato la città, la metà delle mie giunte era composta di persone tra i 25 e i 30 anni. E mi danno speranza queste mobilitazioni per la Palestina e per la pace: sono ossigeno democratico. La questione palestinese è la madre di tutte le battaglie degli oppressi contro gli oppressori. C’è un movimento internazionale che inizia a pesare in maniera forte, infatti viene strumentalizzato e combattuto con il silenzio mediatico o con i manganelli. Rimango un ottimista, del sentimento e della ragione: quel frutteto contaminato non verrà mai bonificato se non ci si impegna.
L’esordio con Loft Produzioni è nel teatro di Tor Bella Monaca, periferia di Roma, il 22 maggio. Luogo simbolico?
Soprattutto data simbolica, anche se è una coincidenza. Il mio spettacolo si apre proprio con il racconto del 22 maggio 1992, il giorno in cui consegno l’ultima prova di Diritto civile del concorso in magistratura nelle mani di Francesca Morvillo, magistrato e moglie di Giovanni Falcone. Vedo Falcone che la viene a prendere all’Hotel Ergife con la Croma blindata. Il giorno dopo c’è la strage di Capaci.
Il teatro è ritiro dalla politica?
Affatto. Quando ho deciso di non ricoprire più cariche istituzionali, dopo le elezioni in Calabria del 2020, ho scoperto il desiderio di mettere a disposizione la mia storia di magistrato e di sindaco attraverso la cultura. In questo spettacolo non ci sono opinioni, ma il racconto di fatti. Temi attualissimi: c’è la lettura della Tangentopoli di ieri, ma anche la corruzione di oggi; c’è il racconto di come opera la criminalità istituzionale, di come le mafie sono penetrate nello Stato senza più usare il tritolo. È politica, ma in termini concreti, la dimostrazione di come si possa realizzare il cambiamento dal basso. Come vincere la battaglia sull’acqua pubblica, fare la carta d’identità a un bambino di una coppia omosessuale o tenere i porti aperti anche quando il governo ti dice che li devi chiudere.
Perché allora ha lasciato Unione Popolare?
Voglio dare il mio contributo per unire e penso di poterlo fare da una prospettiva diversa. Bisogna tenere insieme chi si riconosce nei valori costituzionali, nelle alternative al sistema, nei valori della pace e della giustizia sociale, economica, ambientale. Quando ti caratterizzi troppo per essere di parte, rischi di contribuire invece alle divisioni. Credo nell’efficacia della cultura, del teatro e della letteratura. E la mia esperienza da sindaco mi ha convinto che una vera alternativa si possa realizzare dal basso, più che con qualche improbabile alchimia dei partiti.
Si ricandiderà a sindaco di Napoli?
Non lo escludo. Dopo la fine del secondo mandato le avrei risposto di no. Sono stato il sindaco più longevo (11 anni) della storia della città, anche per via della pandemia. Ora è diverso. La gente mi incoraggia e mi riempie di gratitudine. Mancano due anni, ci sto pensando.
Lei ha citato la crescita della città. Non crede che l’esplosione turistica le stia togliendo l’anima?
Rischia di farlo, se non viene governata. Quando sono diventato sindaco la gente scappava da Napoli, se ne parlava solo per Gomorra e la spazzatura. Ho creduto nel turismo e ho fatto delle scelte come il Lungomare liberato, che hanno iniziato il cambiamento. Ma il fenomeno va gestito, serve un equilibrio. Questa amministrazione si è trovata in mano una Ferrari col pieno di benzina, ma non ha una visione.