Cosa fatta capa ha è la nuova frontiera del giornalismo di governo embedded, che si consegna mani e piedi ai capricci di Giorgia Meloni in un’estasi di sottomissione, forse neppure pretesa. Fa bene Michele Serra a interrogarsi perché Chico Forti sia improvvisamente diventato una “bandiera della destra”. Anche se così facendo ha il torto di ragionare, di esprimere un concetto di senso compiuto in un contesto di potere insensato e di porsi quindi in una modalità sconosciuta al cortigiano che non deve chiedere mai limitandosi a obbedire.
Siamo agli scudi umani di ultima generazione, prototipi di un servilismo autoclonato al cospetto del quale impallidisce perfino l’obbedienza pronta cieca e assoluta coniata da Giovannino Guareschi ai tempi dello stalinismo. Soltanto che in quei tempi oscuri si rischiava la pelle o il gulag mentre oggi, tutt’al più, la non esecuzione dei desiderata si merita un fervorino dai Mollicone.
Immaginiamo lo spaesamento dell’intendenza dattilografa quando dopo gli alleluia per l’accoglienza solenne tributata dalla premier in quel di Pratica di Mare – a un signore condannato all’ergastolo per omicidio in Florida (sentenza convalidata in Italia dalla Corte d’appello) – questo giornale se n’è uscito con il titolo del tutto oggettivo e solitario: “Benvenuto assassino”.
L’allarme rosso (anzi nero) avrà scompaginato il tranquillo weekend primaverile degli opinionisti meloniani di pronto intervento, in un vortice di telefonate ansimanti: chi diavolo è ’sto Chico Forti e perché dobbiamo difenderlo? Immaginiamo i Sallusti, i Sechi, i Bocchino, i Giuli (con panciotto MAXXI d’ordinanza) scartabellare gli archivi alla ricerca di una sola ragione plausibile per giustificare l’insolito connubio Giorgia-Chico. Salvo poi arretrare sulle seconde linee, quelle del cazzeggio diversivo. E la Baraldini allora? E Diliberto allora? E Di Maio allora? E il vostro giornalismo allora? Ridotto a fare da megafono stentoreo a qualunque smarronata premierata.