Fratelli d’Italia non sfonda, tre partiti galleggiano intorno alla soglia di sbarramento, il Pd vola tra gli elettori più anziani e il M5S è il più votato da chi guadagna meno. È la sintesi del sondaggio condotto da Cluster17 per il Fatto su un campione di 1.051 persone, di cui vi diamo conto nell’ultimo giorno utile prima del consueto black-out delle rilevazioni pre-Europee.
Il primo dato interessante è quello sulle percentuali di voto. Cluster17 precisa che il campione è stato selezionato utilizzando il metodo delle quote, considerando i criteri di sesso, età, categoria socioeconomica e regione di residenza, con questionari somministrati online tra il 19 e il 21 maggio. Con queste premesse, FdI è il primo partito al 26,9 per cento, praticamente quanto ottenuto alle Politiche del 2022, segno che dopo una prima luna di miele i meloniani sono tornati indietro. Il Pd segue al 20,8 per cento e il M5S è al 15,5. Più dietro, Lega (8,7) e FI (8,2) si contendono la soglia morale del quarto posto e forse un seggio in più, visto che Cluster17 stima in 7 o 8 posti all’Europarlamento il bottino di chi si muove tra l’8 e il 9 per cento. Briciole, in confronto ai 23 seggi previsti per FdI, ai 18 del Pd e ai 13 del M5S, ma oro colato rispetto a chi si dovrà sudare l’ingresso a Bruxelles. Tre liste si giocano tutto sui decimali, vista la soglia di sbarramento al 4 per cento: gli Stati Uniti d’Europa, rilevati al 4,6 per cento; Alleanza Verdi Sinistra, che al 4,3 spera di non “pagare” il 2,2 per cento attribuito a Pace Terra Dignità di Michele Santoro; e infine Siamo Europei di Carlo Calenda, valutato al 3,7.
L’analisi di Cluster17 dà indicazioni anche sulle preferenze a seconda degli orientamenti socio-politici. Emerge per esempio che il Pd è primo partito tra chi si auto-definisce “progressista-radicale”, col 41 per cento, ma in questa fascia il M5S è alto, al 29 per cento. Il boom del Movimento è ancora tra gli “anti-sistema”, dove raccoglie il 69 per cento. FdI va sopra il 50 per cento sia tra i “tradizionalisti” che tra i “conservatori-moderati”, mentre insieme alla Lega (32) guida tra gli “euroscettici”.
Lo studio indaga pure la distribuzione del voto per età. E l’anomalia è che il Pd vince tra gli estremi, potendo contare sul 29 per cento sia tra chi ha meno di 24 anni sia tra gli over 65. Nelle fasce centrali si consolida invece il primato di FdI, che oscilla tra il 29 e il 37 per cento negli elettori dai 24 ai 64 anni. Più naturale la distribuzione dei 5 Stelle, che partono alti tra i giovani (23 per cento) per poi calare fino al 12 per cento tra chi ha più di 65 anni. Non solo. Un andamento simile lo si nota, per il Movimento, quando Cluster17 analizza il voto per fasce di reddito. I 5 Stelle sono la prima forza politica tra chi guadagna meno di 1.000 euro al mese (26 per cento, contro il 17 di FdI, il 16 del Pd e l’11 della Lega), cala tra il 15 e il 18 nella fascia di chi dichiara tra i 1.000 e i 3 mila euro al mese e crolla tra i redditi più alti, ottenendo il 7 per cento tra i 3 mila e i 5 mila euro e addirittura il 5 per cento sopra i 5 mila euro. Percorso inverso fanno Lega e FI, rispettivamente al 14 e al 13 tra gli elettori più ricchi, mentre FdI soffre tra i più poveri (17 per cento, appunto) ma poi si mantiene in alto fino al 33 per cento registrato nella fascia sopra i 5 mila euro al mese.
E il Pd? Dal 16 per cento sotto ai 1.000 euro al mese sale progressivamente trovando il picco del 27 per cento tra i 3 mila e i 5 mila euro di reddito, per poi scendere al 19 tra i più ricchi. Questi dati combaciano con quelli che l’istituto registra analizzando i votanti per tipi di professione. Non meraviglia dunque che FdI (32 per cento) e Pd (28) siano primi tra “dirigenti e professioni intellettuali superiori”, mentre il 28 per cento degli operai sceglie M5S (il 25, FdI), così come il 26 dei disoccupati (il 22, il Pd). I dem sono invece primi tra i pensionati, dove raccolgono il 29 per cento, popolo ormai di riferimento molto più degli operai, dove il dato scende al 13, e degli impiegati (12 per cento, meno di FI al 16).
C’è tempo per cambiare idea? Il 59 per cento degli astensionisti si dice “completamente sicuro” della propria scelta, mentre il 41 per cento potrebbe scegliere altro. Qui favoriti sembrano essere Lega e FdI, che hanno l’89 e il 76 per cento di elettori “certi”, uno zoccolo duro a cui aggiungere voti. Magari dagli Stati Uniti d’Europa, che invece hanno la “certezza” solo del 44 per cento dei propri elettori. Cattive notizie, nella bagarre per il 4 per cento.