Un decennio fa, quando Thomas Piketty iniziò a proporla come rimedio alla crescente disuguaglianza che emergeva dai dati raccolti nel suo Il capitale nel XXI secolo, il primo a definirla “utopia” era lui stesso. Oggi un’imposta minima globale sulla ricchezza sembra, se non a portata di mano, una prospettiva possibile. “Potrebbe arrivare prima di quanto pensiate”, ha scritto il Financial Times. A trasformarla da sogno a progetto discusso ai vertici del G20 ha contribuito un allineamento favorevole di fattori finanziari, sociali e politici. Insieme al precedente dell’accordo tra 139 Paesi su una tassa minima globale sulle multinazionali, entrata in vigore quest’anno seppure in forma depotenziata.
Partiamo dai bilanci pubblici. I Paesi europei, a dar retta alle previsioni di Mario Draghi, dovranno mettere sul piatto 500 miliardi l’anno solo per la transizione ecologica e quella digitale. Come trovare i soldi, posto che l’emissione di nuovo debito comune è fumo negli occhi per i sovranisti alleati di Giorgia Meloni e non solo? Intanto, oltreoceano, l’amministrazione Biden va verso le presidenziali con un indebitamento federale in poderosa salita e deve finanziare enormi progetti di politica industriale e infrastrutturale. Tassare gli ultra ricchi potrebbe essere parte della soluzione. La strada l’ha indicata a febbraio al G20 dei ministri delle Finanze l’economista francese Gabriel Zucman. Il Brasile, presidente di turno del principale forum per la cooperazione economica internazionale, ha voluto che il vertice fosse aperto proprio dal direttore dell’Eu Tax Observatory per mettere al centro del dibattito la sua proposta più nota: far pagare ogni anno ai 3mila miliardari globali un ammontare di tasse sul reddito pari ad almeno il 2% della loro ricchezza. Ne deriverebbe un gettito aggiuntivo di 250 miliardi di dollari. E sarebbe un primo passo, secondo Zucman e il Nobel Joseph Stiglitz, per correggere sistemi fiscali che oggi tendono a far pagare ai molto facoltosi aliquote ben più basse rispetto a quelle della classe media.
Intorno all’obiettivo del governo Lula si è coagulato in pochi mesi il sostegno esplicito di Francia, Spagna, Germania e Sud Africa. La segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen ha detto qualche giorno fa al Wall Street Journal di essere contro una tassa globale i cui proventi siano redistribuiti tra i Paesi, ma a favore di una tassazione più progressiva. Chi segue le trattative non la legge come una chiusura: all’imposizione minima del 2% si potrebbe arrivare anche attraverso la tassazione delle plusvalenze maturate ma non realizzate, cavallo di battaglia di Biden. Che solo tre mesi fa ha del resto ribadito l’intenzione di introdurre un’aliquota minima del 25% sui redditi di chi ha patrimoni sopra i 100 milioni di dollari. Al G7 di Stresa non si sono registrati passi avanti: si punta a tirare le fila al G20 di luglio a Rio. Il G7 si è limitato a dichiarare l’impegno per una tassazione “progressiva ed equa” degli individui.
Dal punto di vista politico i rischi sono limitati: un intervento mirato sui miliardari scongiura il rischio del boomerang elettorale, evidente se si colpissero anche i piccoli patrimoni come prevedeva l’ipotesi originaria di Piketty. I dati sull’aumento della concentrazione di ricchezza negli ultimi decenni – e soprattutto dopo la “redistribuzione alla rovescia” causata dal Covid e dalla maxi inflazione – hanno del resto orientato le opinioni pubbliche in modo molto chiara. Da vari sondaggi internazionali emerge una larga maggioranza a favore di un maggior prelievo sulle ricchezze con franchigie relativamente basse, alcuni milioni.
Su questa scia, accanto ai negoziati multilaterali sono nate anche iniziative dal basso. Nel 2023 un gruppo di politici, attivisti ed economisti – tra cui lo stesso Piketty – ha lanciato una raccolta firme per sollecitare la Commissione Ue a varare un’imposta patrimoniale continentale per finanziare la transizione ecologica e sociale. Le sottoscrizioni sono quasi 200mila: se si arrivasse a 1 milione l’esecutivo europeo sarebbe tenuto a prendere in considerazione la richiesta. A sostenere l’iniziativa c’è l’ereditiera austriaca Marlene Engelhorn, esponente di Millionaires For Humanity: una delle organizzazioni di super ricchi – negli Usa e nel Regno Unito l’omologa è Patriotic Millionaires – che fanno a loro volta lobbying per pagare più tasse, indirizzando appelli periodici ai leader mondiali.
Anche in Italia qualcosa si muove: 134 economisti hanno firmato un manifesto che chiede alla politica di introdurre un’imposta sui grandi patrimoni, a fianco di altri interventi per rendere più equo il Fisco oggi regressivo per il 5% più ricco. Un’agenda agli antipodi rispetto alla riforma Meloni.