“Oggi le nostre 200 banche dati sono connesse. La loro interoperabilità rappresenta una delle condizioni migliori per la lotta alla grande evasione“. Il viceministro Maurizio Leo (FdI) dal Festival dell’Economia di Trento ha ricominciato a dire ad alta voce una verità che la maggioranza di destra preferisce lasciare sotto traccia. Quello che Giorgia Meloni ama bollare come “Grande fratello fiscale” e sostiene di aver scongiurato bloccando il nuovo redditometro è diventato realtà con il benestare del suo governo. Che ha sì varato una lunga serie di condoni, strizzando l’occhio a chi vede le tasse come una sorta di abuso. Ma in parallelo ha fortunatamente lasciato procedere con il pilota automatico misure messe in campo dai governi Conte e Draghi e ben più potenti dell’inefficace strumento che ha così agitato i partiti che la sostengono: l’incrocio di tutti i dati sui contribuenti a disposizione del fisco e l’impiego dell’intelligenza artificiale per individuare i potenziali evasori.
La scelta di Realpolitik è stata resa quasi obbligata da due fattori: prima la necessità di rispettare gli obiettivi del Pnrr sulla riduzione del tax gap (la differenza tra il gettito che l’erario incasserebbe in un mondo di contribuenti onesti e quello effettivo), ora la caccia alle risorse per mettere in sicurezza i conti pubblici. Ben difficile però spiegarla a una platea di elettori abituata alle sparate su “pizzo di Stato” e necessità della pace fiscale per salvare gli italiani “ostaggio dell’Agenzia delle Entrate”. Così via XX Settembre e Chigi hanno confermato la strategia dei predecessori senza pubblicizzarla. Giancarlo Giorgetti nel suo primo atto di indirizzo, a febbraio 2023, ha inserito tra le priorità proprio lo sfruttamento di nuove tecnologie e strumenti di analisi dei dati per rendere più efficaci i controlli. Dando via libera politico all’utilizzo massivo delle informazioni contenute nell’Archivio dei rapporti finanziari, previsto per legge fin dal 2020 ma sbloccato solo nel 2022 dopo faticose trattative con il Garante Privacy.
L’Archivio contiene saldi e movimentazioni dei conti: incrociandoli con dichiarazioni dei redditi, patrimoni detenuti in Italia e all’estero, contratti e utenze si possono scoprire le tipologie di contribuenti che hanno maggior probabilità di evadere e preparare, su quella base, liste di persone da sottoporre ad accertamenti o stimolare “amichevolmente” a pagare il dovuto. Si chiama analisi del rischio fiscale e consente addirittura, come spiega una dettagliata informativa delle Entrate, di prevedere la probabilità che le successive istruttorie finiscano con un’archiviazione. In modo da dare priorità alle pratiche più promettenti dal punto di vista del recupero delle somme non versate. Un esempio di applicazione? Tra i commercianti al dettaglio, si legge sempre nel documento dell’Agenzia, si selezionano quelli che dichiarano poco rispetto al numero di dipendenti e hanno ricavi bassi rispetto ai costi. Se nello stesso anno il loro conto corrente è lievitato, vengono considerati potenziali evasori. Un algoritmo aiuta a valutare se vale la pena “in termini di rischiosità e proficuità” fare un controllo approfondito.
Ottimo, in prospettiva, per le casse dello Stato. Indigesto, forse, per chi ha votato partiti che promettevano di “non disturbare chi vuole fare”. Ed è caduto dalla sedia quando, pochi mesi fa, Leo ha aperto anche alla possibilità di raccogliere sui social post e storie indicativi del reale tenore di vita di un contribuente, come accade in Francia, per stanare chi fa vacanze lussuose e frequenta ristoranti stellati ma dichiara poco (il cosiddetto data scraping). Il viceministro con delega al fisco aveva tentato di inserire quella previsione nel decreto attuativo sul concordato preventivo biennale, cavallo di battaglia di cui vuole a tutti i costi scongiurare il flop: a fermarlo è stato solo l’intervento dell’authority per la protezione dei dati personali, che ha detto no. Nello stesso provvedimento sono entrati poi chiarimenti sulla possibilità di utilizzare i risultati dell’analisi del rischio anche per svolgere controlli preventivi.
L’esercizio di equilibrismo tra la retorica del fisco amico e le esigenze di gettito diventa insomma sempre più complicato. Non è un caso se sull’effettivo utilizzo delle tecniche viste prima, pur ispirate alle migliori pratiche internazionali per la lotta all’evasione, è ancora buio fitto. Mercoledì il sottosegretario al Mef Federico Freni (Lega), rispondendo a un’interrogazione parlamentare di Avs, ha confermato che le attività di analisi del rischio sono partite nel luglio 2023 concentrandosi su “soggetti che a fronte di movimentazioni attive di importo considerevole hanno omesso di dichiarare i redditi“. Evasori totali, insomma, che hanno iniziato a ricevere avvisi di accertamento e “in diversi casi hanno regolarizzato la propria posizione”. Al momento non sembra invece che l’Agenzia stia effettuando incroci tra andamenti patrimoniali e redditi per “predire la possibilità che una determinata discrepanza sia rivelatrice di un’evasione non totale ma comunque elevata”, nota Alessandro Santoro, ordinario di Scienza delle Finanze alla Bicocca e fino a qualche mese fa presidente della commissione ogni anno stima l’evasione (83,6 miliardi complessivi nel 2021).
L’impressione insomma è che gli strumenti più efficaci siano stati predisposti ma siano ancora sottoutilizzati. Sia a causa dei limiti operativi dell’Agenzia, che rimarrà ampiamente sotto organico nonostante il piano di assunzioni in corso, sia perché la volontà politica è ondivaga. Il contrasto al sommerso funziona a una condizione: i contribuenti devono ritenere probabile, nel caso nascondano ricavi all’erario, essere scoperti e costretti a pagare. Ma condoni e decreti attuativi della delega fiscale vanno in direzione opposta. La riforma che avrebbe dovuto rimediare al disastro di un sistema di riscossione tra i più inefficaci al mondo fa poco per rafforzare i poteri coercitivi del fisco. E accertare non serve se poi non si è in grado di passare all’incasso. Dopo l’estate, quando si capirà quante adesioni ha totalizzato il concordato, il governo dovrà decidere se procedere sulla linea dell’ambiguità o abbracciare con convinzione il “Grande fratello”. In nome dell’odiata caccia al gettito.