Inviato ad Alcamo (Trapani). Todo cambia di Mercedes Sosa comincia a diffondersi dalle casse quando Totò Cuffaro arriva a bordo di una Jeep bianca. Non è ancora completamente uscito dall’auto quando porge la mascella alla prima vasata, il suo iconico doppio bacio sulle guance: in pochi minuti ne somministrerà decine. Non siamo a Palermo e neanche nella sua Raffadali, ma ad Alcamo, in provincia di Trapani. Per capire che cosa sta succedendo in Sicilia è qui che bisogna venire, in un posto che non è mai stato una capitale del cuffarismo, in cui da anni governano i 5 Stelle e dove il centrodestra non ha mai vinto un’elezione. Eppure sono in tanti che si affollano per salutare l’ex presidente, condannato in via definitiva a sette anni di carcere per favoreggiamento alla mafia e rivelazione di segreto. Ci sono ex consiglieri comunali e regionali, mentre a fare gli onori di casa è Giacomo Scala, che ha fatto il sindaco per dieci anni col Pd, poi è andato con Matteo Renzi e ora sta con Cuffaro. Vasa Vasa indossa una polo rosa, infilata dentro ai jeans, ed è di nuovo in gran forma, come ai vecchi tempi: si ricorda di tutti e per tutti ha una parola, un aneddoto, due baci. Rifiuta di rispondere soltanto al Fatto: “Con voi non parlo, io dico una cosa e voi ne scrivete un’altra”, sostiene, quando gli viene ricordata la promessa fatta il 13 dicembre del 2015. Quel giorno, uscendo dal carcere di Rebibbia, assicurava: “La politica è un ricordo bellissimo che non farà parte della mia nuova vita”. Sono passati poco più di otto anni e Cuffaro è tornato a essere il ras incontrastato della politica in Sicilia. Com’è stato possibile? “C’è un vuoto di leadership, nessuno è stato in grado di riempirlo e adesso lui ci sta provando”, dice Mariangela Di Gangi, consigliera comunale a Palermo, una vita trascorsa dietro a Rita Borsellino.
Il ritorno di Cuffaro è stato graduale: dopo la scarcerazione ha fatto volontariato in Burundi. Poi, nell’ottobre del 2020, ha lanciato quasi in sordina il suo movimento sui social: la Democrazia cristiana di Sicilia. “Tutti dicevano che fare un partito era una cosa assurda e invece…”, dice Silvio Cuffaro, il fratello che fa il sindaco di Raffadali. All’inizio sembrava solo l’ennesimo tentativo di rilanciare lo Scudocrociato, ma la Dc di Cuffaro ha subito cominciato a prendere voti ed eleggere consiglieri: prima nei centri più piccoli, poi a Palermo, quindi all’Assemblea regionale, dove nel 2022 è stata fondamentale per la vittoria di Renato Schifani. “Si vede che per il popolo Cuffaro non è quello che dite voi”, ripete suo fratello. “In Sicilia si sottovalutano i sentimenti, la questione sentimentale è molto importante in questa terra”, riflette invece Antonello Cracolici, esponente del Pd e presidente della Commissione regionale Antimafia. “Al di là della persona – spiega – c’è un pezzo di isola che si identifica totalmente con Cuffaro, con questa idea che si può fare tutto e il contrario di tutto”.
Quel pezzo di Sicilia sembra crescere ogni giorno. Oggi il partito di Totò ha quasi 400 amministratori e continua a raccogliere adesioni. Molti i giovani alla prima esperienza politica, come Domenico Bonanno, ex senatore accademico dell’università di Palermo, eletto a 32 anni capogruppo al Consiglio comunale. “Perché ho scelto la Dc? Perché Totò mi ha detto: voglio fare l’allenatore di una squadra di giovani, in modo che non facciano gli errori che ho commesso io”, racconta lui, che aveva vent’anni quando Cuffaro è andato in carcere. “Non entro nel merito della sua condanna – spiega – Posso dire, però, che spesso i leader si mettono quasi in competizione con i giovani. Lui invece no, ci dà consigli, ci aiuta, poi però abbiamo sempre carta bianca”. “Se Cuffaro può godere di diritti garantiti dalla Costituzione deve poterli esercitare. Ma il fatto che questa politica continui ad affascinare pezzi di mondo giovanile deve fare riflettere”, dice Francesco Forgione, ex presidente della Commissione Antimafia e antico avversario dell’ex governatore. “Il più grande errore è stato quello di considerare la questione solo a livello penale – aggiunge – E invece il cuffarismo, depurato dagli aspetti giudiziari, è un sistema di relazioni politiche e sociali, è una filosofia e una pratica della gestione del potere che agisce, per me in modo distorto, sui bisogni della gente”.
In Sicilia, quando si parla di potere, spesso bisogna guardare alla Sanità. Era così vent’anni fa, quando Vasa vasa era governatore, ed è così ancora adesso, che il segretario del partito di Cuffaro è Stefano Cirillo: è l’ex presidente della fondazione Giglio, che gestisce l’ospedale di Cefalù, dove in tanti hanno sostenuto la Dc. Oggi a guidare la fondazione, che colleziona convenzioni con ospedali pubblici in cui la carenza di medici sta diventando cronica, è Giovanni Albano, fratello di Nuccia, voluta da Cuffaro al vertice dell’assessorato regionale alla Famiglia. Prima donna medico legale sull’isola, ha condotto l’autopsia di Giovanni Falcone e Libero Grassi. È la figlia di Domenico Albano, considerato il boss di Borgetto, uno dei protettori del bandito Salvatore Giuliano. “Non rinnego la storia di mio padre, ero una bambina e di questi fatti sono venuta a conoscenza solo da grande”, ha detto a Report, che ha svelato l’ingombrante legame familiare, sfuggito praticamente a tutti sull’isola. Si erano scatenate roventi polemiche, con le opposizioni che avevano chiesto l’immediato passo indietro dell’assessora. In Sicilia, però, esiste un adagio antico, che ancora oggi rappresenta la linea politica più efficace: calati juncu ca passa la china. Vuol dire che quando c’è vento forte il giunco si deve piegare, altrimenti rischia di spezzarsi: quando la piena sarà passata, potrà di nuovo raddrizzarsi. Cuffaro quel proverbio lo conosce evidentemente benissimo: l’ex presidente ha blindato la sua assessora e dopo qualche tempo le richieste di dimissioni sono evaporate. All’evento di Alcamo c’era pure Nuccia Albano, insieme a Saverio Romano, uno dei primi delfini di Cuffaro, oggi suo alleato alle Europee.
Dopo settimane di voci sull’alleanza con Renzi, infatti, alla fine Totò si è dovuto accontentare di appoggiare il candidato espresso da Noi Moderati nelle liste di Forza Italia: si chiama Massimo Dell’Utri, ma non ha alcuna parentela col più noto Marcello. Se sarà eletto il merito sarà ovviamente di Cuffaro, che con la sua Dc sostiene di poter muovere addirittura 250mila voti. “Ho commesso tanti errori, per i quali ho pagato il giusto prezzo che la giustizia ha ritenuto di farmi pagare, ma proprio per questo non credo di dover rinunciare alle nostre ragioni”, dice l’ex governatore ai suoi sostenitori del Trapanese. I 90 posti della sala si riempiono subito e alla fine decine di persone si devono accontentare di ascoltare l’intervento di Totò dagli altoparlanti. “Noi moderati – rivendica a un certo punto lui – difenderemo il diritto delle altre persone di parlare male di noi, ma non ci faremo intimidire”. La gente applaude, qualcuno azzarda: “Questo è stato l’ultimo vero presidente che abbiamo avuto, prima o poi acchiana di nuovo”. In siciliano acchianare vuol dire essere eletto e il senso è che c’è chi sogna il ritorno di Vasa Vasa a Palazzo d’Orleans. Un desiderio che si è trasformato in timore nei ranghi del centrodestra, dove la presenza di Cuffaro è già percepita come troppo ingombrante. È successo a Bagheria, per esempio, la città dove l’ex governatore incontrava in segreto Michele Aiello, l’imprenditore della Sanità poi condannato perché prestanome di Bernardo Provenzano. Qui Totò ha spaccato la sua coalizione, aprendo la strada alla rielezione del sindaco uscente Filippo Tripoli, ex enfant prodige dell’Udc. Che cosa succederebbe se davvero Cuffaro decidesse di ricandidarsi alla guida della Regione? Il diretto interessato ha incassato la riabilitazione, riacquistando il diritto di votare e di candidarsi, ma continua a negare di voler correre personalmente. La stessa cosa fa chi gli è più vicino. “Prima metteva la politica al primo posto, ma dopo tutto quello che è successo le priorità sono cambiate. E poi è diventato nonno”, assicura il fratello Silvio. Alle prossime Regionali, in ogni caso, mancano ancora tre anni: tutto può succedere. Lo dice anche la canzone di Mercedes Sosa, quella che Totò ha scelto per aprire i suoi comizi: todo cambia. Solo che a volte, in Sicilia, quando tutto cambia è solo per lasciare tutto così com’è.