“Altro che occupabile, come farò a sopravvivere?”. Marco Astolfi, 51enne della Val Susa, in Piemonte, è tra le 200 mila persone in povertà assoluta che l’estate scorsa si sono viste togliere il Reddito di cittadinanza perché “in grado di lavorare”. Va avanti coi 350 euro del Supporto formazione e lavoro (Sfl) previsti dal governo a patto di seguire una politica attiva. Perché, ha ribadito Giorgia Meloni in campagna elettorale, “chi non vuole lavorare non pretenda il mantenimento”. Volontà che Marco ha dimostrato, ma il lavoro non arriva e ad agosto smetterà di percepire il Sfl che dura al massimo 12 mesi.
A gennaio il Fatto aveva raccontato il suo calvario, lo stesso di tanti, per sbloccare il sussidio non erogato nonostante la formazione già in corso. Solo e incapace di pagare affitto, utenze, spesa, aveva scritto alla ministra del Lavoro Marina Calderone minacciando gesti disperati. La situazione si era sbloccata con l’articolo del Fatto e Marco aveva rifiatato. A cinque mesi di distanza lo incontriamo a Torino, dove segue i corsi di formazione.
“Ne ho fatto uno da magazziniere della logistica fino a dicembre e un altro l’ho iniziato nel 2024”, spiega davanti a un caffè. La frequenza è necessaria per prendere l’indennità ma nei mesi scorsi, nelle sue telefonate, c’era entusiasmo anche per i compagni di corso: “Ci sono tanti stranieri, alcuni in gamba. Li aiuto con l’italiano”, raccontava. Anche se attribuita per legge in base a criteri puramente anagrafici, l’etichetta di occupabile iniziava ad avere senso. “Guarda – dice estraendo un plico di carte dallo zaino – questa è la valutazione di un mio stage: tutti giudizi positivi”. Di recente ne fa un altro in un grosso nome della distribuzione. “Mi alzavo alle 3 per prendere il treno”, spiega. “Finché ho chiesto se ci fosse davvero la possibilità di un posto, perché sennò di cosa parliamo?”. Ma la risposta è negativa. Ricorda una pacca sulla spalla e quanto gli fece male, vista la scadenza del sussidio che incombe. Così la vitalità dei mesi passati lascia di nuovo posto a pensieri bui. “Ma allora perché dicono che sono occupabile? Dicano che sono inutile”.
Meloni accusa: “Tra i beneficiari dell’Rdc in grado di lavorare solo il 12% si è poi iscritto alla piattaforma per i corsi di formazione e trovare lavoro”. Le cifre non tornano, il ministro Calderone parlava del 20%. Ma verificare è impossibile perché il ministero ha smesso di fornire i dati. Grazie a un’interrogazione parlamentare sappiamo che a oggi sono 110mila le persone prese in carico con il Sfl, ma solo 24mila hanno fatto formazione. Del resto ci sono regioni dove i corsi non sono mai partiti. Non è il caso di Marco, che a Torino ha un appuntamento col suo ente di formazione dove ci chiede di accompagnarlo. Varcato l’ingresso il suo tono si fa subito rancoroso, interviene anche il direttore che si dice preoccupato e il confronto è a senso unico. Marco si sente vittima di un raggiro, evoca immagini cupe. Fuori lo sfogo prosegue: “Mi hanno fatto venire dalla Val Susa tutte le mattine, a spendere 100 euro di abbonamento del treno, io che vivo con 350 euro e non ho nemmeno il gas per farmi una doccia calda. Perché se non c’erano speranze? Per incassare i soldi del Pnrr grazie a quelli come me?”.
Formazione non è sinonimo di occupazione, soprattutto se sei over 50 e disoccupato da anni. Ma nemmeno “occupabile” lo è, e qui sta quella che oggi, a tre mesi dal baratro, Marco definisce “truffa”. Perché non c’è un “piano b”. “Se il lavoro non lo trovano come vivranno?”, è stato chiesto più volte a Calderone prima della riforma. Mai una risposta, come non fosse un problema. Lo è per Marco e i tanti come lui che presto spariranno dai radar, poveri fantasmi. Torniamo al bar, Marco non si dà pace. Tira fuori un libro che sta leggendo, di Noam Chomsky. Chissà cosa direbbe lo scienziato e attivista della cintura che ormai regge a stento i pantaloni di Marco. “Quando mangi una volta al giorno è così”, dice. Dandosi una sistemata si rammarica: “Pensare che l’ultima volta ho votato Meloni”.