Dopo cento anni e decine di libri e podcast c’è ancora bisogno di una serie tv sul delitto Matteotti? Sì. Perché non c’è ancora una risposta chiara a queste due domande: Mussolini è il mandante dell’omicidio? Qual era il movente?
Il professore Giorgio Sabbatucci, coautore del manuale più diffuso nelle scuole superiori, per esempio, non crede che Mussolini sia il mandante. Le modalità del delitto sarebbero più compatibili con una spedizione punitiva poi degenerata. Secondo molti storici, dopo il celebre discorso del 30 maggio del 1924 di Matteotti che chiedeva l’annullamento delle elezioni, Mussolini avrebbe detto “Ma cosa fa questa Ceka? Cosa fa Dumini?” propiziando un intervento della squadraccia dei killer della sua polizia segreta, la Ceka. Si sottolinea che il 3 gennaio 1925 Mussolini rivendicò la sua responsabilità morale storica e politica ma si trascura che negò la stessa esistenza della Ceka e il suo ruolo di mandante. Molti libri e podcast del centenario eludono la questione. Per questo abbiamo dedicato una serie in tre puntate alla linea interpretativa minoritaria, capeggiata dal professor Mauro Canali. Mussolini – per Canali – è il mandante dell’omicidio Matteotti e il movente sarebbe di stampo affaristico. Mussolini, per Canali, temeva Matteotti non per il discorso già fatto del 30 maggio ma per quello che avrebbe dovuto fare l’11 giugno del 1924 e che non fece perché fu ucciso il giorno prima. Avrebbe denunciato lo scandalo della concessione petrolifera agli americani e i finanziamenti milionari a società vicine al fratello Arnaldo. Nessuno ha certezze in materia. Non ci sono prove incontrovertibili o pistole fumanti. Però il lavoro di Canali ha un pregio: è basato sui documenti scovati in una vita di ricerche.
Nel suo libro, da poco uscito in nuova edizione per Il Mulino, ‘Il delitto Matteotti’, Canali puntella la tesi con nuove carte. Alla mostra a Palazzo Braschi da lui curata, Canali espone lettere, perizie, foto, atti giudiziari. Le telecamere di Loft e del Fatto sono andate alla mostra per filmare un viaggio, con la guida di Canali, nella vita di Matteotti e nei segreti sull’omicidio. Non è una materia morta. Forse ci sono più cose da scovare sul delitto Matteotti che sulle stragi di mafia del 1992-3. Le prime indagini furono condotte nel 1924 con coraggio dai giudici Tancredi e Del Giudice. La stampa fece il suo ruolo pubblicando i memoriali dei collaboratori di Mussolini che in parte confessavano e in parte ricattavano il Duce. Ma quelli furono gli ultimi rantoli della democrazia liberale morente. I fari della stampa e della magistratura furono presto spenti lasciando spazi a depistaggi e ricatti.
Quando i fascicoli delle inchieste furono desecretati, i cronisti e gli italiani erano distratti da altri temi più urgenti: le bombe del terrorismo e della mafia. Matteotti poi è un martire scomodo per la destra ma anche per i comunisti e i cattolici. Il lavoro di Canali in questi anni è stato essenziale. A differenza di altri storici Canali ama gli archivi e le fonti primarie. Come un attento cronista ha letto migliaia di carte giudiziarie. E negli archivi ha scoperto novità importanti che ha saputo mettere a sistema con le sue conoscenze. Il risultato è un avvincente mix tra un manuale di storia e un legal thriller. Abbiamo pensato fosse giusto divulgarlo in occasione del centenario.
Filippo Turati diceva: “a noi un solo compito esserne degni”. Nelle prime due puntate ci interroghiamo su movente e mandante. Nella terza, intervistando il presidente della Fondazione Nenni Claudio Martelli e l’assessore alla cultura di Roma, Miguel Gotor, ci chiediamo: ne siamo stati degni? La risposta anche qui non è facile.