Era l’ago della bilancia della sfera politica reggina, Daniel Barillà, genero di Domenico Araniti, secondo la Dda di Reggio Calabria esponente apicale dell’omonima cosca. Ed è uno spaccato della politica reggina quello che emerge dalle intercettazioni. Barillà viene tirato per la giacchetta da tutti, a partire dal sindaco Giuseppe Falcomatà (Pd), che peraltro gli ha affidato il “prestigioso incarico di componente dell’Organismo di Valutazione della Città Metropolitana di Reggio Calabria”. Poi c’erano il capogruppo di Fd’I alla Regione, Giuseppe Neri, e il consigliere comunale Francesco Sera (Pd).
A differenza dei pm, il gip Vincenzo Quaranta, ritiene che sia da “escludere” che “l’attività del Barillà” fosse “eterodiretta dal suocero” o che agisse “su mandato e nell’interesse della famiglia di mafia”. Piuttosto avrebbe “risposto a specifiche strategie elettorali, autonomamente assunte, rispetto alle quali” il suocero “risulta del tutto estraneo”. Va detto che a sua volta, Domenico Araniti, viene intercettato mentre, con stupore, avendo saputo che qualcuno aveva chiesto un voto per un candidato M5S dichiara: “Ma lui prima di candidarsi deve parlare o fare un ragionamento (…) “Non è venuto nessuno, questi dei 5stelle, non è venuto nessuno, non è che è venuto uno a dire c’è questo mi devi dare una mano o niente”.
Dalle intercettazioni emerge che Barillà (accusato di mafia, ndr) si prodigava per tutti. “Il mio cuore è con Peppe Sera”, dice. In altri passaggi, riflettendo sulle strategie elettorali, si convince che Falcomatà potrebbe perdere. E ancora: “Però noi, ci dobbiamo regolare, hai capito? Come dobbiamo fare! Gli diamo una mano a Peppe Sera, ci dobbiamo sedere per bene, però hai capito, per votare come l’altra volta, da un lato per Peppe Sera, per dire, ah?! E dall’altro, c’è Peppe Neri, che mi sta stressando, per un candidato suo”. Ovvero Luigione Dattola.
“Come dici tu facciamo…”, dice Barillà a Neri, di FdI, quando sa della sua candidatura. Giravolte su giravolte: “Tutti mi fanno: ma come, ma tu del Pd. Gli ho detto: No, io sono sempre del Pd (…) è capace che voto Pd, però Peppe è Peppe”.
Per Neri si reca da don Antonello Foderaro, chiedendogli i voti. “Va bene”, risponde il parroco. E Barillà riferisce al candidato: “Sono stato con Don Antonello questa mattina, te li dà penso… non è che dà assai voti però in città”.
A Barillà non mancano le offerte. Sera tenta di avvicinarlo. “Lo stacchiamo definitivamente da quello… lo stacchiamo da Neri, visto l’andazzo, sono 800 voti che da là passano qua perché lo responsabilizziamo a Daniel”. L’idea: offrigli il ruolo di amministratore-liquidatore della Leonia Spa, partecipata del comune.
Barillà organizza un incontro pre elezioni al Bar Mida, con Falcomatà e Antonino Araniti (figlio di Domenico) e Giuseppe Chirico, genero dell’imprenditore Fortunato Bilardi, coinvolto nell’inchiesta. Prenota la “cena da Mimmo” per festeggiare la vittoria di Falcomatà. Un evento a cui partecipa anche Vincenzo Dascola, che il collaboratore di giustizia Mario Chindemi inserisce “nella cosca Araniti”, perché conosciuto “come ’ndranghetista”.