“Danielino, che vogliamo fare?” “Ci dobbiamo vedere sindaco, dobbiamo vincere che dobbiamo fare?”. Nell’ottobre 2020 a Reggio Calabria c’è il ballottaggio per le Comunali. “Io voto Falcomatà perché se sale Falcomatà sale un amico mio: Peppe Sera, che fa l’assessore all’urbanistica”. Dieci mesi prima, il 26 gennaio, si vota per le Regionali. “Peppe questa sera, io ho varie opzioni con te su Gallico… potrei scegliere se farmi baciare il culo da te da qui per altri cinque anni…”. A parlare è sempre Daniel Barillà, il genero di Domenico Araniti detto il “Duca”, indicato dalla Dda come il boss di Sambatello. Per i pm (l’indagine è coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dagli aggiunti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e dal sostituto della Dda Salvatore Rossello), “Danielino” dirige la “strategia dei brogli elettorali per conto della ’ndrina”. Una strategia che passava dalla “scelta di più candidati da appoggiare” per “puntare sul cavallo vincente”. Tradotto: se alle Comunali l’equino (metaforico) era il Pd, alle Regionali il “Peppe” che ha rischiato di “baciare il culo” di Barillà è Neri, il consigliere regionale di Fratelli d’Italia eletto con più 7 mila voti a Palazzo Campanella.
Per lui e per il consigliere comunale Pd Giuseppe Sera, la Procura ha chiesto l’arresto per scambio di voto politico-mafioso. È lo stesso reato contestato al sindaco Giuseppe Falcomatà nell’operazione “Ducale”. Reggio Calabria trema e ieri sembrava di essere ai Campi Flegrei. Il terremoto però, a queste latitudini, ha le sembianze dei carabinieri del Ros. Il blitz è scattato all’alba: 14 misure tra cui quella in carcere di Mico Araniti, ai domiciliari suo genero Daniel Barillà, una vita nel Pd, e noto alle cronache quando nel 2017 al circolo di Gallico in occasione del tesseramento, erano triplicati gli scritti provocando le dimissioni del segretario locale.
Dai congressi alle elezioni, l’importante è controllare chi vince. Anche grazie a Martina Giustra, la scrutatrice della sezione 88 finita ai domiciliari. A lei “i ragazzi di Sambatello” hanno consegnato le tessere elettorali di soggetti mai andati al seggio. Eppure hanno espresso la loro preferenza “in favore dei candidati Giuseppe Neri e Giuseppe Sera”.
Per entrambi secondo il gip, non è stata raggiunta “la gravità indiziaria in relazione alla promessa” e per questo ha rigettato la misura. La Procura ha fatto appello al Riesame. Il Gip: “Sebbene sia gravissimo che il Sera sia andato dall’Araniti anche solo per ‘un doveroso saluto’ non si può sostenere, sia andato a chiedere voti al boss, suggellando il patto politico-mafioso”.
È impietoso, invece, il profilo del meloniano Peppe Neri tracciato dal gip. Che non ha dubbi nel sostenere che “Neri abbia una spregiudicata tendenza ad allacciare rapporti, in funzione elettorale, con soggetti che hanno (…) legami con la ’ndrangheta”. Di telefonate agli atti, ci sono quelle tra Barillà e il sindaco Falcomatà. “Chiarirò la mia posizione nelle sedi opportune”, spiega il primo cittadino, il quale, in vista del ballottaggio del 2020, era al telefono con il genero di Araniti: “Senti quanti votanti?”. “L’affluenza è bassa nonostante tutto… ma meno votano e meglio è, non credere”. “Certo, appunto”. Neri, invece, è da quattro anni che teme di finire sotto inchiesta.
Da quando il suo nome finisce sui giornali perché compariva in un’indagine su un altro politico. Da poco aveva lasciato il centrosinistra per FdI e Neri si sfoga con Barillà: “Il partito che può fare ora? Non è che ragionano così questi Daniel. Questi sono fascisti”. “Un voto Mico che facciamo? Per questo dire per coso?” “Neri… lo votiamo”. “Un fascista forse non lo abbiamo mai votato”. “E vabbè, fascista non è che è fascista”.