L’intervista

Gaza, Ajith Sunghay (Onu): “Bombe, liquami, epidemie e fame. Serve la tregua immediata”

Capo dell’Ufficio per i territori occupati delle Nazioni unite - “In 20 anni mai vista tanta miseria. Non serve procedere per piccoli passi, non possiamo più permettere che questa guerra vada avanti”. Prosegue la raccolta dei fondi a favore di Medici senza frontiere, lanciata dalla Fondazione del Fatto Quotidiano, per portare a Gaza cure mediche, cibo e acqua. Per donare clicca qui

22 Giugno 2024

“La miseria a Gaza è inimmaginabile e lo sforzo delle organizzazioni umanitarie non potrà durare per sempre”. Ajith Sunghay, capo dell’ufficio per i Territori palestinesi occupati dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr), è appena rientrato dall’ultimo viaggio nella Striscia, a Khan Yunis, Al Mawasi e Deir al Balah. Per tutto il tempo, racconta, ha avuto nelle orecchie il rumore delle bombe. “Gli sfollati vivono in tende di fortuna tra rifiuti e liquami, senza cibo né acqua. Non può continuare così”.

Per l’operazione su Rafah c’è stato un nuovo esodo dei civili verso nord. Dove hanno trovato riparo?

La maggior parte è a Deir al Balah (nel centro, 10 km a nord di Khan Yunis, ndr). Circa 60 mila persone sono ancora nella zona costiera di Al Mawasi. Un numero rilevante è tornato a Khan Yunis, che nei mesi è stata quasi rasa al suolo, l’ho visto con i miei occhi. Quasi tutti vivono in tende di fortuna fatte di plastica e legno preso dai pallet degli aiuti umanitari. Altri sono ammassati negli edifici dell’Unrwa: ho visitato una scuola con 14 mila persone per 25 bagni. È difficile spostarsi, la privacy è nulla, l’igiene precario e aumentano le frustrazioni: ci sono stati scontri tra gruppi di sfollati.

Quanto è peggiorata la situazione umanitaria con il caldo?

Prima c’erano le piogge torrenziali. Le tende sono inutili contro le intemperie. Manca l’energia per refrigerare gli ambienti. Mancano cibo, acqua pulita e sapone, un problema soprattutto per donne e bambini. Ma il primo pensiero di tutte le persone con cui ho parlato era un altro: il terrore di essere costretti a spostarsi di nuovo.

Secondo i media, metà delle infrastrutture idriche è stata distrutta. L’acqua come arriva?

Ne arriva meno del necessario: una o due bottiglie al giorno. A differenza di altre parti di Gaza, nelle zone che ho visitato c’era un impianto di desalinizzazione attivo e l’acqua potabile non era il problema principale. Invece è molto grave la situazione delle acque reflue. I liquami scorrono tra le tende, i rifiuti si accumulano: ho visto montagne di spazzatura larghe 200 metri. È chiaro che la raccolta degli scarti non è la priorità degli sfollati, ma dopo mesi di accumulo si rischiano malattie. I medici parlano di scabbia, diarrea e gastroenterite. Se non ti uccidono le bombe, ci pensano le malattie.

L’Ohchr ha diffuso un report con casi di violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito israeliano nei primi mesi di guerra. È ancora così?

Per ragioni di sicurezza non ho potuto avvicinarmi a zone di conflitto attivo, ma posso dire che a Deir al Balah ho avuto sempre nelle orecchie il rumore delle bombe, dei droni e degli spari, 24 ore su 24. Il report denuncia l’uso di ordigni ad alto potenziale su aree densamente popolate, tra ottobre e dicembre 2023. Si aggiungono le centinaia di detenzioni arbitrarie di palestinesi (includendo la West Bank) con abusi e torture. Anche le “operazioni mirate” non sembrano rispettare i principi di precauzione. Come si definisce il limite, quando operi in una zona con un milione di abitanti?

La comunità internazionale parla di aumentare le forniture umanitarie, funzionerà?

La soluzione è il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Il tessuto sociale di Gaza è annientato, le persone non hanno più lavoro, le famiglie sono spezzate. In 22 anni di carriera non ho mai visto tanta miseria. L’attività umanitaria dell’Onu e delle ong non può durare all’infinito. Non serve procedere per piccoli passi, non possiamo più permettere che questa guerra vada avanti.

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