A partire dal 2017, il Chierico vagante ha dato conto con frequenza regolare degli insulti di monsignor Carlo Maria Viganò a Francesco, il papa della misericordia. Negli ultimi due anni, poi, ci siamo interrogati sovente sul silenzio del Vaticano di fronte alle offese e alle accuse dell’ex nunzio apostolico negli Usa, e che prima della pandemia formava con il pasciuto cardinale americano Raymond Leo Burke l’ineffabile coppia degli Stanlio & Ollio della destra clericale e farisea.
La volta più recente è stata nel novembre del 2023, al termine del sinodo voluto dal papa. Ancora una volta, Viganò insultò Francesco: “un eretico” che vuole “distruggere la Chiesa” e “dannare le anime”. Quindi scrivemmo: “Ma quello che più colpisce, ormai, è il silenzio ufficiale del Vaticano nei suoi confronti. Che altro deve fare o dire, Viganò, per essere scomunicato? Certo, è facile comprendere questo silenzio. L’obiettivo è quello di non concedere all’arcivescovo ribelle la corona del martire e del perseguitato. Arrivati, però, a questo punto sarebbe più che altro un dettaglio”.
Adesso finalmente l’annuncio di fatto della scomunica c’è stato e a darne notizia è stato lo stesso Viganò giovedì scorso. Si tratta di un decreto del Dicastero per la Dottrina della Fede che lo accusa del delitto di scisma perché il monsignore non riconosce la legittimità di Francesco e ha rotto la “comunione” con lui e con il Concilio Vaticano II. La breve procedura prevista, un processo penale extragiudiziale, fa ritenere scontata la sentenza di scomunica. Ovviamente, Viganò ha subito indossato le vesti del martire, ritenendo un “motivo d’onore” le accuse e attaccando al solito Bergoglio, un tiranno che ha trasformato la Chiesa in un’agenzia filantropica (filo Lgbtq+, green, globalista) al servizio del Nuovo Ordine Mondiale.
Ma il punto vero è un altro. Il monsignore della Chiesa dell’odio contro Francesco è rimasto da solo. Il decreto del Ddf ha infatti illuminato la patetica scena del suo isolamento. Nessun cardinale o vescovo conservatore gli ha manifestato una pubblica solidarietà, giudicandolo ormai un sedevacantista. Negli Stati Uniti, laddove un tempo Trump lo ringraziò per le sue preghiere, c’è stato solo un messaggio di Jim Caviezel, il protagonista della Passione di Cristo (regia Mel Gibson), che definisce Viganò un “crociato della verità”. Persino i tradizionalisti lefebvriani si sono tirati fuori. Il monsignore si è paragonato all’arcivescovo francese scomunicato 50 anni fa, ma la Fraternità San Pio X ha chiarito che “né Mons. Lefebvre, né la Fraternità da lui fondata, hanno accettato di avventurarsi su questo terreno”, quello cioè di non riconoscere il pontificato (il sedevacantismo).
Silenzi e imbarazzi anche nel variegato network clericale italiano, a parte i blog di un paio di vaticanisti e qualche editoriale della Verità. Eppure fino al 2020, Viganò era il capofila della reazione antibergogliana (che in Italia faceva sponda con Meloni e Salvini) e che minacciava nella Chiesa uno scisma da destra di proporzioni notevoli, alimentato e finanziato dai conservatori americani. Ma la deriva del complottismo no vax e infine la guerra in Ucraina (Viganò è un putiniano convinto) hanno isolato del tutto l’antipapa, rifugiatosi in Svizzera.