Jordan Bardella, poveretto, dovrà accontentarsi di fare il capogruppo dei Patrioti a Bruxelles – per giunta col generale Vannacci come vice! – anziché il primo ministro di Francia come pregustava. Le destre nazionaliste in Europa sono e restano una minoranza. Minacciosa, ma pur sempre una minoranza. Destinata per sua natura a dividersi al proprio interno, così come spacca sempre le società che pretenderebbe di compattare, perché l’Internazionale dei nazionalisti è una contraddizione in termini.
A dirla tutta, per quanto si sforzino di farcelo dimenticare, la destra è minoranza pure in Italia: la sua classe dirigente non rappresenta più di un terzo della cittadinanza. Giorgia Meloni farebbe bene a prenderne atto contando bene i voti che ha raccolto il giugno scorso (e quelli che rispetto a due anni fa ha già perso) nel Paese degli astenuti. La folla che domenica sera a Parigi festeggiava lo scampato pericolo gridando in italiano “Siamo tutti antifascisti” evidentemente ha preso più sul serio di noi la deriva nostalgica e autoritaria della destra che ci governa. Per non fare la stessa fine, i francesi hanno deciso che valeva la pena tornare a votare numerosi, in testa i giovani e i “nuovi cittadini” a cui, solo per il fatto di discendere da immigrati, il Rassemblement National prometteva la revoca di parità di diritti.
Ci accusano spesso di adombrare a sproposito lo spettro del fascismo. Ma basterebbe rileggere le invettive contro l’invasione degli stranieri “parassiti” che andavano per la maggiore nella Francia degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, ad opera di intellettuali nazionalisti, poi collaborazionisti, eppure rivalutati dalla destra contemporanea, per spiegare la spinta a creare il Fronte Popolare antifascista che ha riunito personalità diversissime come Jean-Luc Mélenchon e Raphael Glucksmann (chissà quanti rimproveri gli sarebbero venuti dai puristi italiani, esperti nel “divisi si perde”).
La destra reazionaria che è tornata all’opposizione in Polonia, che si è vista sbarrare il passo in Spagna prima che in Francia, ma che rischia di passare in Austria l’autunno prossimo, ha trovato il suo nuovo punto di riferimento nell’ungherese Viktor Orbàn, sebbene anche il suo regime cominci a scricchiolare. Uno smacco per Giorgia Meloni che ne condivide l’ideologia – combattere l’“immigrazionismo”, causa di decadenza della nazione, rivendicare la superiorità delle leggi statali sul diritto comunitario – ma almeno per ora non può permettersi la sua indisciplina in politica estera.
Così viene abbandonata dagli spagnoli di Vox che non potrebbero seguirla nell’eventuale appoggio a von der Leyen. Nonostante le raccomandazioni che le giungono dagli opinionisti di establishment affinché snaturi le sue origini portando Fratelli d’Italia dentro o al fianco del Ppe, dubito che la sconfitta bruciante di Marine Le Pen orienti Meloni alla moderazione. Più facile che l’istinto e la convenienza la risospingano alla radicalità nazionalista.
Le elezioni francesi, intanto, ci aiutano a dissipare un’illusione ottica: quella secondo cui il pacifismo nell’Europa del terzo millennio sarebbe appannaggio delle destre nazionaliste. Un equivoco alimentato di recente anche dal viaggio a Mosca di Orbán, autocrate dalla forte sintonia culturale con Putin; vocazione, quest’ultima, che condivide con i Patrioti divenuti terzo gruppo al Parlamento di Bruxelles, uniti dall’intento di sfasciare il progetto comunitario europeo. Pacifisti costoro? Suvvia. Basti ricordare la violenza verbale e le normative discriminatorie con cui spaccano al loro interno le nazioni di cui si ergono a portavoce, per non parlare della loro ossessione xenofoba.
Anche i loro antenati del XX secolo addossavano a nemici interni ed esterni la responsabilità delle guerre, praticavano improvvisi capovolgimenti di alleanze, esaltavano il patriottismo per calpestare le garanzie democratiche. Non cadiamo nella trappola: il pacifismo non è trasversale, può unire culture diverse ma non certo annullare la distanza fra destre nazionaliste e sinistra internazionalista. La destra ha in sommo dispetto la società multietnica che ha contraddistinto l’inaspettato successo del Fronte Popolare in Francia. Ciò naturalmente genera contraddizioni interne, non potrebbe essere diversamente visto il cambiamento di composizione della base sociale e la rilevanza che vi hanno assunto gli elettori di origine araba, specie nel voto per la France Insoumise. Può forse stupirci che avvertano forte solidarietà per la popolazione di Gaza e altrettanta ostilità per Israele?
Fortunatamente i socialisti e gli ecologisti francesi non sono caduti nel tranello di chi pensava, col ricorso strumentale all’accusa di antisemitismo, di impedire la formazione di questa preziosa alleanza antifascista.