Sul concordato preventivo biennale tra fisco e partite Iva il governo è alle strette. Da un lato c’è il rischio annunciato che la misura bandiera della riforma firmata da Maurizio Leo faccia flop, azzerando un gettito aggiuntivo di cui c’è gran bisogno. Dall’altro sale la pressione delle categorie coinvolte e di quella parte di maggioranza che spinge perché il patto con l’Agenzia delle Entrate sia il più appetibile possibile. Nel tentativo di salvare la faccia (e almeno una parte di incassi) Leo, su assist di Fratelli d’Italia e Lega, è allora pronto alla mossa della disperazione: un cambio in corsa delle regole del gioco che abbatta drasticamente le imposte aggiuntive chieste a quanti aderiranno. Sulla differenza tra cifra proposta dall’amministrazione e reddito dichiarato potrebbero scegliere di non pagare la normale Irpef, ma un’aliquota sostitutiva di estremo favore modulata a seconda del grado di fedeltà fiscale che risulta dagli Indici sintetici di affidabilità (Isa): solo il 10% per chi è già ritenuto affidabile, il 12% per chi ha un punteggio tra 6 e 8, appena sotto la sufficienza, e il 15% per chi con tutta probabilità è un evasore.
La richiesta di mettere in campo l’opzione di questa specie di flat tax a tre aliquote, ennesimo sfregio all’equità del sistema fiscale, è nero su bianco nel parere sul decreto correttivo delle norme sul concordato approvato ieri dalla commissione Finanze del Senato presieduta dal leghista Massimo Garavaglia. Oggi alla Camera l’organismo omologo guidato dal meloniano Marco Osnato dovrebbe votare un testo fotocopia. Le indicazioni non sono vincolanti ma, secondo Il Sole 24 Ore, l’esecutivo ha intenzione di recepirle quando varerà in via definitiva del provvedimento. E il ministero dell’Economia, sondato dal Fatto, non smentisce. Fonti interne spiegano che la strada sembra tracciata. La novità sarebbe clamorosa: un palese tentativo di correre ai ripari a fronte dello scarso interesse dei contribuenti per l’accordo che cristallizza per due anni i redditi e le tasse da pagare. Garantendo l’affidabilità – cioè il raggiungimento di una “pagella” Isa da 10 – a prezzi stracciati.
A chiedere il trattamento di favore sono state nei mesi scorsi Confcommercio, Confartigianato, Cna, Casartigiani e Confesercenti, che rappresentano una bella fetta degli autonomi soggetti agli Isa. A giugno anche i commercialisti si sono uniti al coro invocando un’aliquota “di vantaggio” per “incrementare in modo tangibile la platea dei soggetti interessati”. Nel decreto correttivo approvato il 20 giugno l’idea non è passata: il governo si è limitato a ritocchi minori, come uno sconto del 50% valido solo per il primo anno. Quando però le partite Iva e i loro consulenti hanno iniziato a interrogare il software che mette a punto la proposta del fisco, è diventato evidente che la convenienza ad aderire non c’è: chi ha una pagella Isa insufficiente dovrebbe accettare di pagare le tasse su redditi più alti di decine di migliaia di euro rispetto a quelli dichiarati finora e pure chi è già “congruo” sarebbe tenuto ad aumentare l’imponibile. Posto che la probabilità di essere sottoposti a un controllo è trascurabile, difficile ci sia la corsa a sottoporsi al salasso.
Così le confederazioni degli artigiani e i commercialisti sono tornati alla carica e in audizione parlamentare hanno riproposto la flat tax. Trovando terreno fertile nei senatori di maggioranza, che del resto a inizio anno avevano addirittura suggerito al governo di prevedere che il reddito oggetto del patto non potesse superare il 110% di quello dichiarato l’anno prima: trovata che avrebbe di fatto legalizzato l’evasione (poi non se ne è fatto nulla). Vista la mala parata, Leo potrebbe ora concedere il regalo dell’aliquota sostitutiva, che renderebbe quasi indolore il promesso allineamento degli autonomi ai requisiti della piena fedeltà fiscale. Un’altra beffa per lavoratori dipendenti e pensionati che pagano l’85% dell’Irpef.
Nel frattempo il viceministro con delega al fisco deve incassare un altro schiaffo sul redditometro, che aveva cercato di rispolverare proprio come “bastone” per incentivare le adesioni al concordato – salvo provocare l’immediata levata di scudi di Lega e Forza Italia e lo stop di Giorgia Meloni. Subito dopo Leo aveva promesso modifiche per garantire che gli accertamenti sintetici si concentrassero sui soliti “grandi evasori”. Ora la commissione Finanze lo blocca, sollecitando il governo a “evitare di ripristinare strumenti e istituti a carattere induttivo di massa come ad esempio il cosiddetto redditometro”. I forzisti già festeggiano la cancellazione di “una misura fiscale invasiva e indiscriminatamente vessatoria”.