Continua a diminuire il contributo dei Comuni alla lotta all’evasione dei tributi statali, dall’Irpef a Irap e Iva. Se nel 2014 gli accertamenti fiscali propiziati dalle loro segnalazioni erano stati 2.700 e nelle loro casse erano tornati per quella via oltre 21 milioni di euro, nel 2023 i controlli dell’Agenzia delle Entrate realizzati con l’aiuto degli enti locali si sono fermati a 480. A picco di conseguenza anche le somme recuperate: nel 2022, ultimo anno per cui è disponibile il dato, gli incassi sono ammontati a meno di 4 milioni di cui 1,7 grazie al solo Comune di Genova e 736mila euro a quello di Milano. Roma da sei da anni è a zero. Ad attivarsi sono ormai poco più di 260 Comuni, il 3% del totale. Un apporto “del tutto marginale”, commenta la Corte dei Conti nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato, riassumendo i dati. Tra 2008 e 2017 i risultati erano stati ben diversi: oltre 100mila segnalazioni per oltre 100 milioni recuperati. Cosa c’è dietro il crollo?
Proprio dal 2022 lo Stato ha smesso di versare ai sindaci l’intero ammontare recuperato grazie a soffiate degli enti, incentivo che era in vigore da dieci anni proprio per rendere “invitante” la compartecipazione all’accertamento. La misura non è stata prorogata e oggi gli enti che utilizzano le informazioni a loro disposizione (utenze e iscrizioni anagrafiche, catasto, contratti di locazione, dati della Camera di commercio) per individuare i probabili evasori ricevono solo il 50% delle maggiori somme riscosse. Una spinta in meno a impegnarsi su un fronte che molti funzionari comunali già ritenevano poco proficuo: le pratiche a volte non vengono nemmeno lavorate perché le cifre in ballo sono giudicate troppo esigue dalle Entrate, già in affanno essendo sotto organico. E allora ai Comuni conviene concentrarsi sui tributi locali, fonte di entrate più diretta.
Per correre ai ripari, nell’ottobre 2022 l’Agenzia e la Guardia di finanza hanno firmato con l’Anci e la sua fondazione Ifel, che assiste i sindaci sui temi della finanza locale, un nuovo protocollo in cui si impegnavano a tracciare ogni segnalazione qualificata trasmessa dai Comuni e preparare ogni anno un rapporto dettagliato. Al momento però nulla è cambiato: i funzionari comunali possono sapere solo se la pratica è stata presa in carico e l’anno dopo scoprono se ha consentito di riscuotere qualcosa. In più agli enti avrebbe dovuto essere consentito l’accesso alle informazioni presenti negli archivi dell’Anagrafe tributaria, che raccoglie saldo iniziale e finale dei conti correnti e loro movimentazioni, per consentire “l’implementazione dei processi di analisi del rischio utili a individuare comportamenti evasivi ed elusivi di tributi statali e locali”. Ma ancora oggi quei dati restano inaccessibili per le strutture comunali che ne avrebbero gran bisogno anche per rafforzare la riscossione dei propri tributi, dall’Imu alla Tari. Solo mercoledì il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, audito dalla Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, ha rilevato che la difficoltà a incassarli “costituisce la principale causa delle crisi finanziarie degli enti locali” e i residui attivi (crediti accertati ma non riscossi) hanno toccato nel 2022 la cifra complessiva di 85 miliardi contro i 74 del 2020.
Qualche altro tassello lo aggiunge Francesco Tuccio, presidente dell’Associazione nazionale uffici tributi enti locali (Anutel): “I funzionari comunali operano in un territorio dove conoscono tutti e non hanno alcun incentivo economico al recupero. In più si rapportano con amministratori che spesso non hanno interesse a promuovere quelle attività, perché i cittadini sono elettori“. Insomma, far pagare le tasse sarebbe controproducente alle urne. Non solo: a volte il funzionario zelante, denuncia Tuccio, paga in prima persona: “Ci sono molti casi di colleghi che dopo aver mandato avvisi di accertamento per tributi locali all’azienda “sbagliata” si sono visti trasferire ad altri settori o mettere da parte“.
È d’accordo solo in parte Massimo Jakelich, gestore di investimenti che da sei anni fa anche l’assessore al Bilancio del piccolo Comune emiliano di San Giovanni in Persiceto, 28mila abitanti, fino al 2020 in testa alle classifiche di recupero dell’evasione di tributi erariali (con un picco di 1,5 milioni nel 2018). “Di sicuro l’attenzione degli enti tende a concentrarsi sulle tasse locali. E molti non sono propensi a segnalare alle Entrate anomalie che riguardano i loro elettori. Ci è capitato di sentirci definire spioni…ma in realtà sono meccanismi che vanno a beneficio della collettività: i soldi incassati li abbiamo usati per il 50% per opere pubbliche come rotonde e piste ciclabili e per l’altra metà per ridurre le tasse o, quando è servito, dare contributi ai commercianti danneggiati dai lockdown”. Nel 2022 il trend positivo si è interrotto, ma Jakelich garantisce che il dimezzamento della quota riconosciuta dallo Stato non c’entra: “Si è solo esaurito il beneficio legato a una segnalazione particolarmente proficua su un’azienda che aveva venduto un terreno edificabile a una società collegata a un prezzo molto basso rispetto al valore catastale in base al quale noi avevamo calcolato l’Imu. Su quella base le Entrate hanno scoperto un’evasione importante e da lì sono derivati recuperi per 4 milioni di euro in quattro anni”.
Non dipendono invece da un singolo caso le buone performance del Comune di Genova. “Dal 2011 abbiamo un nucleo operativo di polizia locale dedicato ai controlli sull’evasione di tributi locali ed erariali”, racconta l’assessore al Bilancio Pietro Piciocchi. “Un fronte importante ha riguardato l’imposta di soggiorno e le case sfruttate per gli affitti brevi ma non registrate”. Dai controlli sulle ville pubblicizzate su Airbnb alla scoperta che il proprietario si dichiara nullatenente il passo non è lunghissimo. Anche così il capoluogo ligure ha incassato in 14 anni 10,5 milioni grazie al contributo al recupero di imposte statali.
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