Siamo partiti. Ci siamo lasciati alle spalle le coste rassicuranti della Sicilia e la Sea-Watch 5 punta dritto verso il Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più letale al mondo. Dopo tutti i training, la preparazione, il tempo in porto e non lontano dalla costa rassicurante, cambia tutto. Strano pensare di prepararsi così a lungo per qualcosa a cui, in fondo, si arriva sempre, necessariamente impreparati: l’incontro con l’altro. Il clima a bordo cambia rapidamente, la conversazione diventa più fluida, le barriere cedono e ci si fa un po’ più vicini, come chi sa che si troverà presto a fare qualcosa di difficile insieme. L’idea dell’incontro, forse, ci fa incontrare di più anche a noi. Le esercitazioni sui RHIB, le piccole barche veloci lanciate dalla nave madre che recuperano fisicamente le persone, sono completate. Da lì sopra si torna fradici. I vestiti si asciugano sul ponte, che improvvisamente diventa il cortile di una casa di ringhiera, le persone ci mangiano intorno e a volte un’onda le colpisce e sembra una giornata di mercato. Il panorama è del tutto nuovo: intorno a noi mare e soltanto mare, a volte qualche cargo e qualche tartaruga gigante. Cominciano i turni di avvistamento: quattro ore per ogni gruppo, a rotazione, si guarda l’orizzonte con un binocolo. Si tratta cercare un puntino minutissimo che si muove. Molte delle imbarcazioni soccorse vengono trovate così, con gli occhi, troppo piccole per essere rilevate dai radar, soprattutto con le onde alte. Il mare si fa grosso e qualcuno comincia a vomitare, qualcuno è tramortito. Le onde arrivano fino a due metri e la nave cigola, scuote, si bagna. L’acqua vuole entrare e le navi vogliono farla star fuori, questo è il perverso gioco della navigazione, mi spiega Josè. Quando cala la sera le onde alte inquietano, dall’alto del ponte della nave, nel buio, provati dalla nausea e intimoriti da questo affondo nell’ignoto verso la Libia e la sua oscura Guardia Costiera cosiddetta. Provo a immaginare la stessa circostanza ma da un’altra prospettiva: non l’alto del ponte di una grande nave che domina le onde, ma da sotto, in mezzo, alle onde, che sovrastano, su una piccola barca di legno o di gomma. Intorno solo buio e luna. Nessuno all’orizzonte, un ignoto ancora più spesso, senza punti di riferimento. Il nulla, dappertutto, e un gruppo di persone che non si conoscono, strette, che pensano, chissà cosa pensano. Impossibile immaginarlo. Se le incontro, glielo chiedo.
4.Continua