Se davvero quando c’era “Lui” i treni arrivavano in orario, allora che facciano i fascisti fino in fondo. È una battuta, ovviamente. Ma certo è a suo modo straordinario che un ceto politico così affezionato ad alcune narrazioni del ventennio sia tanto sovranamente (avverbio anch’esso simbolico…) indifferente al disastro in cui è precipitato il nostro sistema dei trasporti. Dove è finita la puntualità? Dove l’ordine? Dove l’orologio e i cartelloni con le prescrizioni in-de-ro-ga-bi-li?
Lo stress col caldo indispone, naturalmente. Inquieta non sapere se e quando si potrà partire e arrivare. Constatare che per rimediare a un guasto occorre una settimana e più. Inquieta non potere regolare i propri tempi e appuntamenti in un mondo tutto sincronizzato. Irrita il disprezzo beffardo verso il diritto al risarcimento, il cui ottenimento chiede (se mai verrà) altro tempo da perdere. E indispone, diciamolo, soprattutto il tipo di giustificazioni del disservizio che vengono ripetute per altoparlante.
Sentite qui, per esempio. Martedì 23. Chi deve rientrare in serata su Milano dall’Emilia viene a sapere che i treni provenienti dal Sud sono in ritardo di due ore. Sì, tutti due ore. E che sarà mai successo? È successo, rivela sussiegosamente l’altoparlante, che ci sono stati interventi “delle forze dell’ordine lungo la linea”.
Per due ore? E coinvolgendo tre treni di fila? È forse in corso una rivolta popolare? Forse operai licenziati in Calabria o in Campania hanno occupato i binari abbandonandoli dopo una carica della polizia, o dopo una trattativa con il tipico questore saggio e “padre di famiglia”? Su che cosa sono intervenute, insomma, le forze dell’ordine “lungo la linea”? Sarà per rispetto della privacy, ma l’altoparlante non lo dice. E su quale tratto della “linea”, poi? Forse Roma? Implicazioni politiche, dunque? Chi provi un rispetto istintivo per le forze dell’ordine non può che rassegnarsi. Se sono intervenute per due ore “lungo la linea” una ragione ci sarà. Poi però oltre al rispetto per le forze dell’ordine fa capolino anche la memoria di altre giustificazioni.
Come dimenticare l’epoca dei suicidi ferroviari in serie, mai riportati dai quotidiani locali, che provocavano ritardi infiniti “per disposizione dell’autorità giudiziaria”? Come dimenticare le sequenze di “persone non autorizzate lungo la linea”, che facevano sospettare e temere preparativi di attentati sui binari o bande di zingari intente a rubare rame lungo il percorso o gruppi di giovani ubriachi impegnati nei giochi più rischiosi sulle traversine? Come non risentire le surreali comunicazioni sui problemi del treno precedente o sui guasti “provvisori” (che si distinguono meritoriamente dai guasti “eterni”) sempre “lungo la linea”?
Il sospetto è una brutta cosa. Per cui partono le richieste di chiarimenti agli enti più informati. Giornalisti, consiglieri comunali… Ci sono stati tafferugli alla stazione di Napoli? E a Roma? Magari prima, a Lamezia? No, nulla. E allora perché, e dove, le forze dell’ordine sono intervenute per due ore “lungo la linea”? Non sarà certo per far pagare il biglietto a un viaggiatore abusivo.
L’alta velocità di Reggio Emilia si spopola rapidamente. I viaggiatori rimasti attendono tutta la sera, ormai è notte. Nessuno annuncia risarcimenti. Nessuno (e non ci vuole molto, basterebbe un neurone) rassicura che in quella situazione si potrà cercare posto sui treni in ritardo anche avendo un titolo di viaggio per orario differente. Ossia che a mezzanotte ti prendi senza multe il treno previsto per le dieci. Nulla. Solo un invito dall’altoparlante: i viaggiatori con problemi possono rivolgersi al personale di assistenza. Be’, qualcosa si muove, pensi. Peccato che in stazione tutti gli uffici siano rigorosamente chiusi. Tranne, almeno a Reggio Emilia, la sala attesa della Frecciarossa. Provi a entrare. Rigorosamente vuota. Ah, quando c’era “Lui”…